Il ddl Zan e l’incognita dei voti a scrutinio segreto. E Renzi avverte: «Attenti ai numeri»
Draghi ha appena terminato di parlare al Senato, quando Renzi commenta con alcuni esponenti di Italia viva il passaggio riservato dal premier al ddl Zan: «Il Vaticano ha commesso un errore, perché il testo di legge non viola il Concordato. Semmai viola le regole della matematica, perché al Senato non ci sono i numeri per approvarlo. Il rischio è che venga cassato a scrutinio segreto. E visto che di voti a scrutinio segreto ce ne saranno una ventina, immaginate cosa potrà combinargli Calderoli». Se Renzi già scarica sulla Lega la responsabilità di un eventuale affossamento del provvedimento, è per allontanare da sé i sospetti che montano nel Pd: l’accusa di intendenza con Salvini, insieme al quale starebbe costruendo un accordo in vista della corsa al Colle. L’ex premier pare non curarsene, scaricando a sua volta sul Nazareno la colpa di un esito che dà (quasi) per scontato: «Questo è il risultato della politica degli influencer, che a forza di inseguire i like di Fedez finisce per smarrirsi».
E oplà. Si torna all’eterno derby tra Renzi e Letta, che pure non intende «indietreggiare» sul ddl Zan, nonostante tutto sembri congiurare contro: dalle bordate della Santa Sede verso cui mostra «rispetto», fino ai malumori che covano nel suo partito. Perché nel Pd l’area cattolica ribolle, se è vero che un suo autorevole esponente definisce «un grave errore cercare di costruire il nostro profilo identitario su una bandierina ideologica grillina, senza curarsi nemmeno di parlarne con il Vaticano, con cui non si tengono più rapporti strutturali come un tempo. Così un tema laico di notevole rilevanza finisce per trasformarsi in uno stendardo del laicismo».
Le obiezioni tra i dem di ogni latitudine sono di merito ma anche di metodo, dato che la prova di forza — la volontà cioè di votare subito il provvedimento — sconta peraltro l’evanescenza del principale alleato: «Se Conte finora non si è esposto, è perché magari non vuole irritare suoi vecchi sponsor in Vaticano. Vedremo se sarà l’araba fenice che farà risorgere M5S. Al momento è solo cenere». Insomma il Pd teme di combattere la «battaglia di civiltà» sul ddl Zan scoprendo di non avere con sé il blocco riformista, se è vero che persino Calenda è rimasto coperto. Certo ha poca rilevanza parlamentare, ma come racconta Costa il testo non persuade il leader di Azione: «La tutela dell’identità di genere, lui dice, è un principio che può scardinare certi meccanismi di legge. E non solo. Per esempio, se un uomo si sente donna può chiedere di candidarsi nelle quote rosa? O di iscriversi ad una gara sportiva femminile? Eppoi, politicamente, non è facile trovare un compromesso: se ti siedi a discuterne con i cardinali non ne esci più. È un ginepraio. A quel punto che fai, ti alzi e li mandi a quel paese?».
In appena ventiquattro ore una delicatissima questione che aveva investito il governo per via della nota inviata dalla Santa Sede, è tornata ad essere una materia squisitamente parlamentare. «Draghi è stato abilissimo», sorride Lupi: «Meno male che non è un politico». In effetti ieri il premier, dopo aver consultato alcuni costituzionalisti, al Senato ha prima ribadito i principi dello «Stato laico», riconoscendo alle Camere la «libertà di legiferare». Poi ha delimitato i confini delle leggi, ricordando i controlli dello stesso Parlamento e della Consulta a «garanzia» dei dettami costituzionali e degli impegni internazionali, «tra i quali c’è il Concordato».
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