Conte: non torno indietro, Grillo si scusi pubblicamente e non so se basterà

di Tommaso Labate

Conte: non torno indietro, Grillo si scusi pubblicamente e non so se basterà

Foto d’archivio ImagoEconomica

«Ragazzi miei, se state convincendo Grillo a farmi una telefonata per chiedermi scusa in privato, be’, sappiate che a me non basta. Non basta una telefonata per sanare quello che ha fatto e che ha detto. Se poi Beppe decidesse di farmi delle scuse pubbliche…». A questo punto, siamo a metà pomeriggio, Giuseppe Conte si concede una pausa non si sa quanto studiata, lasciando che i puntini di sospensione della frase colpiscano nel segno i suoi interlocutori. Il ministro Stefano Patuanelli, Paola Taverna e il capogruppo M5S al Senato Ettore Licheri hanno il volto immobile delle statue di sale, perché le raffiche dialettiche dell’ex presidente del Consiglio stanno cancellando uno dopo l’altro tutti gli spazi possibili di una mediazione con Beppe Grillo.

La mini-delegazione si era presentata a casa dell’ex premier dopo che le voci della rottura imminente avevano invaso i terminali delle agenzie di stampa per tutta la mattina; la vicepresidente del Senato, evidentemente convinta di trovarsi di fronte all’ennesima frattura non scomposta, uno strappo anche violento però rammendabile, all’ora di pranzo aveva giocato la carta della mozione degli affetti. «Giuseppe, sono Paola», aveva detto al telefono la senatrice Taverna. «Ti devo dire una cosa: sappi che io non posso rinunciare al Movimento Cinquestelle ma sappi che non posso rinunciare neanche a te. Possiamo venire a casa tua?».

Il Conte che il tridente pentastellato si ritrova davanti è un muro di gomma. «Non torno indietro», scandisce a più riprese. Cadono sul pavimento tutte le carte che gli ambasciatori avevano tenuto nel taschino, da una telefonata con Grillo da organizzare seduta stante a una gita organizzata a Marina di Bibbona, da una nuova assemblea coi gruppi a un rocambolesco ritorno del Garante nella Capitale; niente da fare su comunicati stampa, appelli pubblici, riunioni, inviti alla ragione. E quando si paventa l’ipotesi che Grillo si scusi in privato, l’avvocato chiude il sipario: «Se poi Beppe decidesse di farmi delle scuse pubbliche», pausa lunga, «mah… comunque non credo che la convivenza tra me e lui sia ancora possibile».

Il Movimento Cinquestelle rimane quindi aggrappato a un «comunque». L’unico spiraglio di trattativa, per evitare che il matrimonio politico tra l’eterno garante e il leader in pectore venga annullato prima ancora di essere stato consumato, è in quel centimetro quadro di terreno minato. La condizione necessaria perché Conte non molli i M5S sono le scuse pubbliche di Grillo rispetto all’affondo di ieri l’altro; ma non è dato sapere se questa condizione sia sufficiente. Sulla diarchia che il garante ha voluto riportare nell’agenda del Movimento corredandola dalla celebre frase «non sono un cogl…e», l’ex presidente del Consiglio è pronto a salutare e a levare il disturbo. Convinto di avere dalla sua l’intera ragione. «Le hai viste, no, le carte del nuovo statuto?», dice a Di Maio quando il ministro degli Esteri gli telefona per l’ennesima volta. «Là dentro c’erano i pieni poteri per me, come va dicendo in giro qualcuno? O un meccanismo di pesi e contrappesi, un rinnovamento vero, una strada per un Movimento in cui finalmente si sarebbe capito chi fa cosa, senza doppioni inutili?». Altra frase rivolta al passato, altro pessimo segnale.

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