Soldi da Mosca alla Lega: al Metropol con Savoini c’era una spia di Vladimir Putin

di Paolo Biondani

C’era l’emissario del ministro dell’Energia. Il manager di una società petrolifera dell’oligarca ultra-nazionalista. E un terzo uomo. Una figura importante, come si scopre solo oggi. Perché è un uomo dei servizi segreti di Mosca. All’hotel Metropol, a parlare di soldi con Gianluca Savoini per finanziare clandestinamente la Lega, c’erano tre rappresentanti delle cerchie che contano di più nella Russia di oggi. La politica, gli affari energetici, le centrali spionistiche: le tre colonne del potere di Vladimir Putin.


I protagonisti stranieri della famosa trattativa per foraggiare da Mosca il partito di Matteo Salvini ora hanno un nome. E un ruolo. Che rimanda agli apparati di controllo che fanno capo al presidente russo. Le indagini dei magistrati di Milano e della Guardia di finanza, nate nel 2019 dallo scoop dell’Espresso, hanno ormai identificato i sei personaggi in cerca di rubli che il 18 ottobre 2018 si sono incontrati a Mosca per discutere un affare d’oro: grandissimi carichi di gasolio russo da vendere all’Eni facendo la cresta due volte, grazie a un doppio sconto sul prezzo ufficiale, da spartire segretamente. Con milioni di euro da far rientrare di nascosto in Italia, ogni mese, per finanziare la Lega. E una seconda percentuale, sempre in nero, per pagare i mediatori e i manager delle società russe. Tutto a spese del gruppo petrolifero controllato dallo Stato italiano.


Lo scandalo, ribattezzato il Russiagate della Lega, è stato svelato da un’inchiesta giornalistica pubblicata il 24 febbraio 2019 dall’Espresso, firmata da Giovanni Tizian e Stefano Vergine. Dopo mesi di lavoro sui soldi del partito di Salvini, che in quei mesi aveva le casse vuote dopo la confisca dei famosi 49 milioni di euro dei rimborsi-truffa, i due cronisti sono riusciti ad assistere di persona a un incontro cruciale, a Mosca, mescolandosi ai turisti nella hall del centralissimo hotel Metropol. L’inchiesta ha superato a pieni voti l’esame dei giudici. Il tribunale del riesame (confermando il sequestro dei computer, telefoni e dossier di Savoini) ha spiegato che, dalle prove già allora raccolte, «emerge in maniera nitida» che il faccendiere leghista, seduto al tavolo con altri due italiani e tre russi, stava «contrattando l’acquisto da parte dell’Eni di ingenti quantitativi di prodotti petroliferi, prevedendo che una percentuale del prezzo, nella misura indicata del 4 per cento, sarebbe stata retrocessa per finanziare la campagna elettorale della Lega». Mentre una seconda cresta, «dal 2 al 6 per cento», era destinata a «corrompere pubblici ufficiali russi».

L’hotel Metropol di Mosca  

I giudici milanesi sottolineano, tra l’altro, che «la notizia di reato è contenuta nella stesse parole auto-indizianti pronunciate da Savoini», documentate da un audio diffuso il 10 luglio 2019 dalla testata americana BuzzFeed. Respingendo le obiezioni dell’indagato, il tribunale chiarisce che non si tratta di un’intercettazione, ma di una registrazione lecita, fatta da uno dei partecipanti all’incontro, che non ha subito tagli o manipolazioni, come certifica la polizia giudiziaria: «All’esito dell’analisi del file si può pacificamente affermare che non emergono anomalie».

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