Soldi da Mosca alla Lega: al Metropol con Savoini c’era una spia di Vladimir Putin
Già il primo articolo dell’Espresso aveva rivelato il nome e il ruolo di uno dei tre protagonisti russi: Ilya Andreevich Yakunin,
nato a Mosca nel 1978, identificato come uomo di fiducia dell’avvocato
Vladimir Pligin. Il legale è conosciuto in Russia per i suoi legami
strettissimi con il ministro dell’Energia, Dmitry Kozak. La presenza di
Yakunin al Metropol, dunque, era in grado di garantire l’indispensabile
copertura politica. Ma a Mosca non si può trattare un affare così ricco e
delicato, che coinvolge società statali e un partito straniero, senza
il via libera dei potentissimi servizi segreti, da cui proviene lo
stesso Putin. A rappresentarli, infatti, c’era Andrey Yuryevich Kharchenko,
nato nel 1980 a Baku, quando l’attuale Azerbaigian faceva parte
dell’Unione Sovietica. Da sempre cittadino russo, lavora per i servizi
segreti interni. Non è una delle (tante) spie che agiscono all’estero: fa parte dell’apparato di sicurezza che controlla Mosca.
La notizia, raccolta dall’Espresso, è stata confermata da tre diverse fonti investigative.
Alle autorità italiane, il ruolo di Kharchenko è stato segnalato nei
mesi scorsi dai servizi segreti di un Paese alleato. Non si sa quale, ma
si tratta di uno Stato occidentale che ha sofferto in questi anni
gravissime interferenze russe, con casi di omicidio, e ha dovuto
indagare a fondo sugli agenti di Mosca, ricostruendone le reti, le vere
identità e i nomi di copertura. La nostra intelligence ha quindi
trasmesso l’informazione sull’uomo del Metropol alla Procura di Milano.
Dove ora i magistrati hanno il problema tecnico di come farla entrare
nel processo: è improbabile che un servizio segreto straniero mandi un
agente a Milano a testimoniare pubblicamente in tribunale, come richiede
la legge italiana. Ma un rapporto scritto, istituzionale, potrebbe
risolvere il problema.
Gli accertamenti su Kharchenko sono
stati complicati da uno strano caso di omonimia, che aveva ingannato un
quotidiano italiano: un cittadino russo con lo stesso nome è stato
accreditato come diplomatico a Roma il 9 luglio 2019, il giorno prima
della diffusione dell’audio del Metropol. A trattare con Savoini, però,
non era lui: era il rappresentante dei servizi, appunto, che ha lo
stesso nome e cognome (per altro non rari), ma data e luogo di nascita
diversi.
Anche il terzo uomo del Metropol ha un’identità
intrigante. Di lui si sapeva solo che si faceva chiamare Yury. Ora è
stato identificato come Yury Burundukov, nato nel 1965 a
Tjumenskaj, nella Russia centrale. Nel 2018 lavorava per un milionario
russo molto particolare: Konstantin Malofeev, un ex banchiere statale,
arricchitosi con la finanza offshore, che è un acceso sostenitore di
Putin e del nazionalismo di matrice religiosa. Ha creato una fondazione
ultra-ortodossa, intitolata a San Basilio, che si batte contro i gay,
l’aborto, il divorzio, la modernità. E ha finanziato tra l’altro il
Congresso mondiale delle famiglie: il suo direttore a Mosca, Alexey
Komov, era l’ospite d’onore della kermesse integralista organizzata nel
marzo 2019 a Verona con vari ministri della Lega.
Malofeev è uno degli oligarchi sospettati di eseguire operazioni politiche gradite ai servizi di Putin, che formalmente possono dirsene estranei. In Francia ha procurato a Marine Le Pen prestiti bancari agevolati per 11 milioni di euro. In Bosnia ha sostenuto un referendum secessionista che sembrava anticipare la Brexit. Ora è attivo in Africa.
Il
leghista Savoini, pochi mesi prima prima dell’incontro al Metropol,
aveva trattato il primo affare petrolifero con la società Avangard Oil
& Gas, che fa capo proprio a Malofeev. Esploso il Russiagate, Avangard è stata totalmente cancellata da Internet. Compresa la mail aziendale intestata a Burundukov.
La sua identificazione è indiziaria: in mancanza di foto, in teoria non
si può escludere che al Metropol ci fosse un suo emissario che usava il
nome Yury. Ma Burundukov, come il suo capo Malofeev, emerge comunque in
altre trattative d’affari con Savoini.
Queste presenze russe
al Metropol gettano una nuova luce sullo straordinario interesse per i
servizi segreti dimostrato in questi mesi da Matteo Salvini. La
Lega ha faticato a cedere a Fratelli d’Italia la presidenza del Comitato
parlamentare di controllo. E lo stesso leader non ha smentito i
rapporti con Marco Mancini, il discusso ex 007 (arrestato due
volte nel 2005 per gravi accuse e poi salvato con il segreto di Stato
esteso alla corruzione) che si è pre-pensionato dopo le polemiche
seguite all’incontro all’autogrill con Matteo Renzi, all’insaputa dei
superiori, rivelato da Report. Dopo tutto questo, ora si scopre che al
Metropol c’era almeno un uomo dei servizi russi. E a segnalarlo ai pm di
Milano è stata la nostra intelligence, prima che la Lega tornasse al
governo con l’appoggio a Mario Draghi.
Gianluca Savoini è un
fedelissimo del capo della Lega: Matteo Salvini era a Mosca, come
ministro dell’Interno, insieme a lui, anche nel giorno della trattativa
al Metropol. Benché indagato per corruzione internazionale, il
faccendiere leghista filo-Putin continua a incassare soldi pubblici: la
Regione Lombardia, guidata da Attilio Fontana, lo ha nominato
vicepresidente del Corecom e gli ha garantito ricche consulenze da
Ferrovie Nord.
Gli altri due italiani del Metropol, identificati da tempo, erano i consulenti di Savoini: Francesco Vannucci e Gianluca Meranda. Quest’ultimo ha avuto un ruolo importante: avvocato e dirigente della piccola banca d’affari inglese Euro-Ib, è Meranda che ha procurato la «lettera di referenze» dell’Eni, fondamentale per cercare di chiudere l’affare prima con Rosneft e poi, pochi giorni prima dello scoop dell’Espresso, con Gazprom. Dove Savoini aveva sicuramente trovato entrature importanti, tanto da ricevere soffiate preziose dall’interno del colosso statale russo, come confermano i documenti trovati dall’Espresso e poi acquisiti anche dai magistrati.
Da notare che quella lettera di accredito usata dal faccendiere leghista è stata firmata dallo stesso ex manager dell’Eni a Londra, poi licenziato e denunciato dall’azienda statale, che risulta indagato a Milano per gli affari petroliferi dell’avvocato Piero Amara, il grande corruttore di magistrati, riarrestato in questi giorni. Che con i suoi sodali aveva rapporti riservati, svelati dalle indagini interne dell’Eni, con ufficiali dei servizi italiani. Quelli deviati, naturalmente.
L’ESPRESSO
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