Conte-Grillo, potere e futuro del M5S. La partita doppia

di Marco Imarisio

Non è mai facile far capire a qualcuno che il suo tempo è scaduto. Soprattutto se ci si appresta a rilevarne una proprietà privata. Giuseppe Conte ha detto a Beppe Grillo che l’epoca delle ambiguità del M5S è ormai finita. In un modo neppure troppo velato, con lo stesso tono deciso che quasi due anni fa aveva usato alla Camera contro Matteo Salvini, gli ha suggerito un passo di lato, al massimo con un ruolo da testimone di un’epoca ormai conclusa. Come accadde con l’alleato leghista poi divenuto acerrimo rivale, è stato uno strappo, anche se declinato con toni più concilianti di allora. L’ex presidente del Consiglio non ha usato parole definitive. Ma il messaggio implicito del suo discorso è che secondo lui un altro Movimento è possibile, completamente diverso da quello di prima, con il quale potrebbe avere in comune solo la sigla sociale. E ribadendo di non avere alcuna intenzione di cambiare una rotta che intende sottoporre al giudizio dei militanti pentastellati, ha lanciato un guanto di sfida al cofondatore del M5S.

Fase costituente

La scelta che pone Conte è tra un passato fondato sulla protesta antipolitica e un futuro da partito ben saldo all’interno di quelle istituzioni che il M5S di Grillo fino a qualche anno fa invece voleva abbattere, o almeno aprire come una scatoletta di tonno. L’ex presidente del Consiglio pensa a un partito capace di inaugurare una fase al tempo stesso costituente e costituzionale del Movimento, con tanto di strutture, Consiglio nazionale, organi di rappresentanza interni. Ma questo significa anche la fine di tutto quello in cui Grillo ha creduto, e la fine dei Cinque stelle così come li abbiamo conosciuti. Non è solo una lotta per il potere, ma per la rivendicazione di concetti che non possono coesistere all’interno del medesimo contenitore politico.

La messa in discussione di Grillo

Certo, l’ex comico ha dato il via libera all’alleanza con il Pd che aprì la strada al secondo governo Conte e ha garantito il proprio sostegno all’esecutivo guidato da Mario Draghi. Ma l’istituzionalizzazione definitiva del M5S non lo convince. La forma partito presuppone una collegialità che nel vecchio Movimento non è mai esistita. Grillo ha sempre deciso da solo, molto spesso d’istinto, dando per scontata una identificazione tra la sua persona e il suo movimento che nessuno ha mai avuto la forza di mettere in discussione, almeno fino a ieri. Agendo in questo modo negli ultimi dieci anni, ha disatteso l’impegno di un modo diverso di intendere la partecipazione, che era uno dei principi fondanti del suo M5S. Conte ha capito che è questo il vero punto debole di un padre padrone ormai stanco. Il vero significato della sua sfida sta nel promettere quel che Grillo non ha mai voluto mantenere, dicendosi pronto alla delega dei poteri interni e aperto ai suggerimenti dei militanti. L’ex premier sembra suggerire a chi è in bilico su questi due mondi che magari non sarà più come prima, non ci saranno più le invettive al grido di «onestà, onestà» e «Pidioti» e con esse sparirà l’esaltazione e la concezione adolescenziale della politica. Ma in cambio potrebbe arrivare qualcosa che nessun militante pentastellato ha mai avuto per davvero. Se non una vera democrazia, il crollo della monarchia assoluta.

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