Grillo: “Conte non si doveva permettere, quando si vota lo decido io”. Ma congela lo strappo
ILARIO LOMBARDO
ROMA. «Lo statuto? Ha detto di mettere al voto lo statuto? Col cazzo che lo mettiamo al voto. Lo decido io se e quando». La brutalità della sintesi ci consente di consegnare le frasi così come ci vengono raccontate da chi ha parlato con Beppe Grillo, lasciando all’immaginazione il resto: la furia del comico, le urla al telefono, il ragionamento che si spezza e precipita verso la decisione di un gesto che sarebbe definitivo se non venisse fermato all’ultimo da più mani amiche. Il fondatore del M5S era pronto a pubblicare un video. Il video poi si è trasformato in un post, da mandare in rete attorno all’ora di cena, per rispondere a Conte, e a quello che ha detto nella lunga conferenza stampa del Tempio di Adriano, come ha risposto alla politica per dieci anni. Con un gigantesco, liberatorio e facile “vaffa”.
Non arriva a farlo – ma forse lo farà oggi – perché gli chiedono di pensarci su una notte, di andare a dormire per non reagire con la pancia, continuando in questo estenuante ping pong tra offesi. Il telefono di Pietro Dettori, uno dei pochi che tiene i contatti diretti con Grillo, non smette di suonare un attimo. Tutti, nel M5S, chiedono aggiornamenti. Chiedono come l’abbia presa. «Malissimo» è la risposta. Grillo fa filtrare che uscirà con un video. E non sarà tenero. Non con chi ha ritenuto di andare davanti alle telecamere per dirgli di scegliere se essere un padre generoso o un padre padrone. «Come si permette a dirmi così? Che fa, pensa di costringermi a dire sì in questo modo?». Padre padrone lo è stato, Grillo, per tutti questi anni, e lui è il primo ad averlo sempre saputo, al punto da scherzarci su, al punto da arrivare ad auto battezzarsi l’Elevato, con l’ironia del demiurgo-comico che si gioca a dadi il destino del M5S. Non è mai stato abituato al duello, all’opposizione interna, a qualcuno che gli dicesse di «no». «Voglio essere libero di fare e dire quello che voglio»: la sua creatura, spiegava ancora ieri, è la “sua” creatura. E come ha detto a Conte: è lui ad aver costruito la casa dove l’ex premier è stato invitato a entrare.
Tra l’avvocato e il comico nelle ultime 48 ore c’era stato un fittissimo scambio di mail. Grillo ha scritto a Conte cosa non andava nello statuto e ha avanzato precise richieste. Alcune chiedevano di modificare i poteri attribuiti al garante, rafforzandoli anche rispetto al vecchio statuto del M5S. Una scelta, sembra, di tattica negoziale: per fingere di cedere su qualcosa e mantenere intatta la sostanza del suo potere assoluto. O almeno così l’ha vissuta Conte. La telefonata che ne è seguita è servita all’avvocato per anticipare quello che avrebbe detto l’indomani. Non esiste una diarchia. La comunicazione, la politica estera, le strategie, sono decisioni che spettano al leader e agli organi previsti nel nuovo statuto. Concetti che ripeterà 24 ore dopo e che scateneranno la rabbia di Grillo.
Sono le sei e mezzo del pomeriggio quando il comico fa sapere che reagirà duramente. Non ha apprezzato la totale mancanza di flessibilità del premier e quel passaggio sul voto sullo statuto che è suonato come un referendum tra i due: «Non è lui, che non è ancora capo politico, a decidere quando si vota». I mediatori si fiondano a cercare una tregua che in quei momenti non sembra possibile. Anche Luigi Di Maio, nelle pause del vertice della coalizione anti-Isis e dei colloqui a Roma con il segretario di Stato americano Antony Blinken, si tiene informato e, togliendosi per qualche minuto la casacca da ministro degli Esteri, tenta disperatamente di inviare messaggi di calma a Grillo. Lo ha imparato a conoscere in questi anni.
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