Gli italiani non tolgono la mascherina. “Troppa paura, è istinto di difesa”

di MASSIMO CUTÒ

Roma, 29 giugno 2021 – “Faccio parte dell’82 per cento degli italiani che ha continuato a indossare la mascherina all’aperto. Ne ho visti molti stamattina a Milano, primo giorno senza obbligo”. Un filosofo sa sempre tutto. Se si tratta poi di Duccio Demetrio, 76 anni, per di più storico docente universitario, pedagogista e accademico, c’è da stare tranquilli. Parte da sé e trova spiegazioni universali. Giusto quel che serve per capire che cosa sta succedendo.

Vince il principio di precauzione?

“Certamente sì. La presenza di non vaccinati in giro e la contagiosità delle varianti fa prendere con le pinze i luoghi affollati. La mascherina è un salvagente. Ma c’è dell’altro”.

Che cosa?

“La diffidenza. Virologi e immunologi in questi mesi hanno spesso parlato linguaggi antitetici. Nel dubbio, a quale scienza credere? Nel dubbio seguo la mia testa, è stata la risposta”.

Si è consolidata un’abitudine?

“Arrivo alla porta di casa, prendo la mascherina attaccata alla maniglia, esco. Un riflesso automatico come allacciare la cintura di sicurezza in macchina”.

Ha fatto così oggi?

“Sono uscito presto per portare giù il cane. Ho optato per la via di mezzo: mascherina sì, ma appena sotto il naso. Fa caldo. Arrivato a destinazione ho visto gli altri padroni di cani: ortodossi e ligi alla regola. Neppure uno con il pezzo di stoffa di scorta in tasca o penzoloni da un orecchio. Mi sono uniformato all’istante e la cosa mi ha fatto riflettere”.

Conclusioni tratte?

“La mascherina è una metafora interiore: protegge da ogni male e come tale è difficile abbandonarla. Durante le fasi peggiori dell’epidemia sono riemersi fantasmi antichi. E di conseguenza feticci per antidoto”.

È sempre stato così nella storia?

“Il Medico della Peste era la maschera più temuta a Venezia nel 1600. La usavano dottori e chirurghi per proteggersi dal morbo, quando andavano a visitare i malati: becco adunco lunghissimo con due tagli per l’aria, l’ovale a serrare il viso e fori all’altezza degli occhi, tela cerata dalla testa ai piedi”.

Maschere inquietanti?

“Penso all’orgia di Eyes wide shut. Kubrick evoca la funzione psichica della persona, nel senso latino di maschera. La mascherina è prosopopèa: l’oggetto inanimato che si trasforma in persona”.

Una persona amica stavolta.

“Alla riapertura delle scuole i ragazzi, che erano i più riottosi ad accettarla, hanno ribaltato le convenzioni: oggi la sostengono in nome della libertà, fatte salve le eccezioni. Una minoranza continua a sfidare il contagio a sprezzo del rischio. In fondo è un classico dell’adolescenza”.

Eppure undici mesi fa più di un italiano su quattro rifiutava le mascherine. Che cosa è accaduto nel frattempo?

“Le immagini del dolore non si cancellano. La nostra Libera università dell’autobiografia ad Anghiari ha sollecitato a scrivere di sé ai tempi del Covid. Abbiamo ricevuto 1.500 risposte: una meta narrazione da cui è emersa la necessità di curare la vita, il bene supremo. Una reazione evidente allo sgomento, l’incredulità e la frustrazione incamerate. L’istinto di autodifesa si è tradotto in una parola d’ordine: non vogliamo che accada di nuovo”.

L’autodifesa frena il disvelamento?

“Specie le donne hanno pudore a scoprire il volto, dopo aver mostrato soltanto gli occhi per così tanto tempo. La paura può aver offuscato la bellezza. Sotto la maschera restano i segni, le cicatrici. È lecito avere paura”.

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