La dittatura di Beppe Mao
Piergiorgio Odifreddi
Cerco di mettermi nei panni, alquanto scomodi, dell’ingenuo cittadino che si è recato a votare alle elezioni politiche del 2018, per scegliere tra i candidati quello che meglio lo potesse rappresentare in Parlamento. Undici milioni di questi cittadini hanno deciso di votare per il M5S, che da anni predicava di essere a favore della democrazia diretta, e prometteva di non effettuare alcuna scelta politica che non fosse stata approvata in rete dal suo popolo. Grazie ai voti di questi cittadini, sono stati eletti 162 deputati su 630, e 75 senatori su 315: una maggioranza relativa, ma non assoluta. Peccato, perché il Movimento aveva assicurato, fin dalla sua costituzione, che non avrebbe fatto alleanze con nessuno: al massimo poteva accettare i voti altrui su proposte proprie. Cioè, proponeva evangelicamente agli altri ciò che il Pd aveva chiesto a lui nel 2013, a ruoli invertiti.
Sicuramente non si sarebbero fatte alleanze con il Pd stesso, individuato come “il partito dei pedofili di Bibbiano”. E nemmeno con la Lega, dalla quale il Movimento si sentiva “geneticamente diverso”. Sappiamo tutti com’è andata a finire: nei tre governi di questa legislatura i 5S hanno fatto dapprima un governo con la Lega ma senza il Pd, poi un governo con il Pd ma senza la Lega, e ora un governo con il Pd e con la Lega. Naturalmente, così è sempre successo in politica, ma il M5S sosteneva di essere diverso. E gli elettori grillini sono stati almeno consultati, come promesso? Niente affatto. Si sono fatte consultazioni in rete tra qualche decina di migliaia di iscritti, che però non rappresentavano affatto gli undici milioni di elettori 5S, ma solo se stessi e i primi follower di Grillo. In realtà, nel Movimento governa uno solo, ed è Grillo. Il quale potrà anche dichiarare di essere “il garante, non un coglione”, ma mente sul primo fronte e sul secondo fate voi. Infatti, non appena Conte gli ha proposto di fare appunto il garante, l’ha mandato a quel paese perché “non ha visione politica, né capacità manageriale”, benché l’avesse appunto scelto lui, come presidente del Consiglio e come nuovo leader del Movimento.
Ora Grillo ha annunciato la solita buffonata di una consultazione in rete, per decidere il futuro del Movimento. Ma non può nascondere a se stesso e al Paese il fatto che non esiste in Italia un partito più antidemocratico del suo, nel quale a fare il bello e il cattivo è un uomo solo: molto peggio che Forza Italia ai tempi di Berlusconi, e del Pd ai tempi di Renzi. Grillo non è affatto un garante, ma una variabile impazzita che aspira a fare il padre-padrone del Movimento, come ha detto Conte, e il dittatore nel Paese, come possiamo aggiungere noi. Forse non tutti ricordano, infatti, cosa successe al momento della rielezione di Napolitano, quando Grillo istigò i propri facinorosi a una specie di marcia su Roma, perché non era stato eletto Rodotà. Per combinazione, quella sera io ero appunto con Rodotà, a Bari, per una manifestazione, e ho potuto assistere da dietro le quinte a cosa succedeva. C’era aria di colpo di Stato, e Rodotà fu informato dal ministero dell’Interno che Grillo era stato avvisato: se fosse arrivato a Roma per guidare la protesta di fronte al Parlamento, sarebbe stato arrestato, in senso letterale.
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