Conte è Conte ma la destra non sta tanto meglio

Come dare torto al giornalista del Financial Times che, al termine di un colloquio a piazza Navona con Salvini in versione moderata filo-Draghi, filo Nato, filo-europeista, quasi da uomo dell’establishment si chiede se, rispetto al Salvini delle simpatie per Trump, Putin e allo scetticismo sull’Euro, sia cambiata davvero la persona o solo il “costume” che indossa. La conferma del dubbio, che lascia propendere per la seconda risposta, arriva con la firma del manifesto dei sovranisti europei assieme alla Le Pen, Orban, Kaczynski, la Meloni e il leader spagnolo di Vox “contro l’ideologia tecnocratica di Bruxelles”. Non c’è l’uscita dall’euro, e questa non è una novità, ma il manifesto è un distillato di sovranismo, ribattezzato “patriottismo” contro le regole e le norme che i perfidi burocrati impongono alla vita dei popoli, tra le quali, chissà se carità di patria appunto, non è nominato quel Recovery plan su cui Orban l’anno scorso mise il veto.

Al governo con Draghi in Italia sognandolo addirittura al Quirinale, con la Le Pen in Europa sognandola all’Eliseo, col Recovery che serve all’Italia al di qua delle Alpi, con i suoi nemici al di là. Distratti dal rumore della scissione (o implosione) dei Cinque Stelle, focalizzati sul Pd che vede franare l’orizzonte strategico dell’ultimo anno, per un istante si è perso di vista il carnevale di questa destra che, parafrasando Woody Allen, se “Dio è morto” e “Marx pure” tanto bene non sta, a dispetto della retorica sull’invincibile armata che, appena si potrà votare, tornerà al governo con un plebiscito popolare. Ma che non trova generali a Milano, dove siamo al settimo candidato da verificare, perché l’unico che aveva messo d’accordo tutti è Gabriele Albertini, sindaco ai tempi di Berlusconi e Bossi, alla faccia delle nuove classi dirigenti. E che, dove li ha trovati o tirano poco come a Roma o combinano pasticci come a Napoli: Maresca che prima chiede ai partiti di non presentare i simboli, poi è costretto a cambiare idea, nel frattempo la Meloni incontra, e sembra un endorsement, l’avvocato Sergio Rastrelli, figlio di Antonio, l’unico presidente di regione che abbia mai avuto il Movimento sociale.

Fosse solo un problema di candidati, in verità è questione un po’ seria. E speculare a quel che succede nell’altro campo: il collasso che ha portato al governo Draghi reso, per Lega, più acuto da una “lotta per l’egemonia” che ne mina consenso e identità. Non è un Salvini di “lotta e di governo”, perché la sala macchine è appaltata a Draghi. È un Salvini che, dopo aver subito l’operazione e costretto, facendo di necessità virtù, a intestarsela sperando che i dividendi arrivino, saltella su ogni palcoscenico possibile per agitare le sue bandiere identitarie. Come dall’altro lato c’è Zan e lo ius soli che mai vedranno la luce, dall’altro c’è l’orbanismo oltre confine che però non precipita nel consiglio dei ministri e la sceneggiata a Santa Maria Capua Vetere con la truce rimozione, o quantomeno minimizzazione, del pestaggio e la retorica dell’“onore” degli uomini in divisa da difendere, al netto di qualche “mela marcia”. Come se quella divisa non fosse stata sporcata proprio da chi si rende responsabile di atti del genere e se non fossero proprio quei responsabili i primi traditori dello Stato.

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