Se l’Europa dà battaglia sui valori

È la “zoppia” di cui parlava Carlo Azeglio Ciampi, cui non abbiamo ancora posto alcun rimedio istituzionale e sostanziale (almeno fino al Next Generation Eu, che contiene solo in nuce la speranza di una futura, piena e solidale condivisione dei debiti nazionali). C’è uno spazio economico, ed è vasto. Ed è quello, nel tempo, che ha fatto da calamita per i satelliti dell’Urss finalmente liberati dalla cortina di ferro e che adesso, di fronte alla grande abbuffata del Recovery Plan, si fa ancora più attrattivo. Ma lo spazio economico non coincide affatto con lo spazio culturale e valoriale. E il nucleo duro dei Paesi fondatori quella coincidenza non l’ha pretesa mai abbastanza. Soprattutto, non l’ha pretesa nel novembre dell’anno scorso, quando pur di sminare il veto ungaro-polacco e di sbloccare il bilancio Ue e il Piano Ngeu ha accettato un compromesso al ribasso sulla clausola dello “Stato di diritto”, al quale i singoli Stati si devono adeguare per poter ottenere i fondi. Oggi, di quei cedimenti progressivi, ne vediamo e ne paghiamo le conseguenze. Brexit ha dato la stura non solo al ritorno dei singoli Stati-Nazione, ma anche alla riedizione delle antiche appartenenze storiche. Il Patto di Visegraad tra Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia, che rimanda all’omonimo Congresso del 1335. La Nuova Lega Anseatica, che nel 2018 ha riunito i ministri delle Finanze di Svezia, Olanda, Lettonia, Lituania, Estonia, Danimarca, Finlandia e Irlanda. Gli irredentismi catalani, scozzesi e irlandesi, che rimandano all’era pre-imperiale spagnola e britannica.

Così, quasi all’improvviso e con una buona dose d’ipocrisia, scopriamo che in Europa c’è Orban. Non solo. Scopriamo che insieme a lui in Europa ci sono il polacco Jaroslaw Kaczynski e lo sloveno Janez Jansa, che persino un filosofo marxista come Slavoj Zizek sul “New York Times” definisce “il nuovo asse del Male”. Scopriamo che l’Europa ha davvero “due anime”, come ci ricorda Alberto Simoni, visto che a fronte di 17 Paesi che hanno firmato la lettera di condanna della legge omofoba ungherese, ce ne sono stati altri 10 che se ne sono ben guardati. Scopriamo che non bastano l’affondo di Draghi contro Erdogan e l’appello di Biden contro la dittatura cinese e la democratura russa, a cementare una vera “identità europea”, capace di bilanciare in modo virtuoso i diritti e gli interessi. E come scrive Lucio Caracciolo sull’ultimo numero di Limes, scopriamo la differenza tra Occidente europeo, concetto geopolitico, ed Europa, espressione geografica. Il primo esiste. La seconda, purtroppo, ancora no. Anche per questo, per le nostre fragili democrazie liberali, la “battaglia dei valori” merita di essere combattuta.

LA STAMPA

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