Sono “Notti magiche”: dopo mesi senza abbracci, gli azzurri ci regalano una rivoluzione allegra

Maurizio de Giovanni

Non so voi, ma al sottoscritto capita spesso di pensare al 1968, in questi giorni caldi della strana estate.

Uno potrebbe dire: perché proprio il 1968? Che ti è successo di notevole quell’anno? Be’, a me niente, anche perché avevo dieci anni e in quell’epoca del cretaceo inferiore i ragazzini non avevano videogiochi e voce in capitolo, non erano connessi alla rete e non vestivano come modelli, quindi i pochi ricordi sono annebbiati e probabilmente manipolati dai racconti altrui; ma al mondo e al paese è successo parecchio, e ci sono connessioni assai interessanti con l’attualità.

No, non parlo della rivoluzione culturale e dell’emancipazione, delle rivolte studentesche e dei grandi happening musicali. Quelli purtroppo sono assai distanti da questi tempi mascherati, l’amore libero è l’esatto contrario del distanziamento sociale: ma l’estate del 1968, almeno in una piccola parte, viene restituita in questi giorni nel suo bianco e nero sgranato a tonnellate su tutti i canali. Perché, ovviamente, nel 1968 l’Italia vinse il suo unico campionato europeo di calcio; e man mano che si va avanti, partita dopo partita, quel senso di acuto rimpianto si stempera sempre di più in una speranza improvvisa.

Certo, ci sono state le notti magiche frustrate dal colpo di testa dell’argentino Caniggia, che fino a quel momento sembrava possedere il capo solo per sostenere i lunghi capelli biondi. Arrivammo a tanto così e restammo con un palmo di naso, e la nazionale di Vicini, con Vialli e Mancini in campo anziché ad abbracciarsi teneramente in panchina, era assai forte. Ma c’è qualcosa in questa, di nazionale, che è forse più accattivante e commovente, e quindi in qualche modo più coinvolgente.

La verità è che le peculiarità di questa estate infrapandemica sono tali da farci capire con chiarezza di essere proprio dentro un periodo che comunque passerà alla storia, e questa manifestazione non fa eccezione. Anzitutto ammetterete che sia notevole che l’Europeo 2020 si giochi nel 2021; come mettere un segnalibro al posto sbagliato, o ritrovarsi dopo la domenica direttamente al mercoledì. E l’ondivaga alopecia degli spalti, in certi stadi un sediolino occupato ogni tre e in altri con decine di migliaia di spettatori in festa privi non solo di mascherina ma anche di indumenti anche se non di birra, costituisce una cornice anomala e indimenticabile.

Mettiamoci poi la moria delle grandi squadre, che a una a una hanno determinato di togliere il disturbo tornando a casa scornate e in lacrime. Mbappè, Ronaldo, Modric, Muller e Pogba costretti, poverini, a trascorrere il resto dell’estate a contare tristemente e ossessivamente quelle poche decine di milioni che guadagnano rinunciando alla gloria di una possibile vittoria.

Ma non è questo, perché sono storie possibili che a intervalli irregolari capitano. Quello che non capita è guardare un campionato europeo come lo stiamo guardando noi, in questo momento.

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