Sono “Notti magiche”: dopo mesi senza abbracci, gli azzurri ci regalano una rivoluzione allegra

Pensateci. Veniamo da un anno e mezzo di assurdo, in cui è avvenuto un evento di portata storica che non ha precedenti nell’era moderna. Abbiamo dovuto imparare a non sorriderci, a non truccarci, a cercare e a trovare nuovi spazi casalinghi. Abbiamo osservato col cuore schiacciato dall’apprensione curve salire e scendere, colonnine crescere e decrescere, grafici a torta riempirsi e svuotarsi. Abbiamo rimodulato la gestione del nostro tempo libero, abituandoci a lunghe sessioni di malinconiche serie televisive a intervallare lugubri dibattiti in cui abbiamo scoperto che i virologi possono dividersi in fazioni più litigiose dei politici.

In questo contesto, questi azzurri ragazzi hanno portato qualcosa di rivoluzionario come i loro omologhi del 1968: l’entusiasmo. Fateci caso, una voglia di urla e di spumante, di bandiere e di tripudio dai balconi non l’abbiamo mai avuta. E il tifo di campanile, anche per chi ha la fortuna di vincere, non ha lo stesso sapore.

Il perché è facile da capire: abbiamo bisogno di condivisione della gioia. Ci hanno uniti in questo tempo infame il dolore, la paura, la preoccupazione. Abbiamo parlato a bassa voce, sussurrando il dolore per chi se n’è andato, masticando la rabbia perché nessuno sapeva dirci come sarebbe andata, cosa sarebbe successo. Abbiamo perso il senso di un abbraccio, di una cena tra amici, di una cerimonia. Abbiamo pagato la scorsa estate, con l’illusione di una rinascita illusoria e fallace.

Adesso però le occasioni di ottimismo ci sono, gli ospedali si stanno svuotando e i vaccini sono una bella promessa di futuro. E anche se la paura non è passata e non passerà facilmente, come dimostrato dal fatto che in tanti non hanno gettato via le mascherine anche all’aperto, non abbiamo mai avuto tanta voglia di rinascita.

È in questa prospettiva, all’interno del desiderio di un domani, che si innestano i successi dei ragazzi azzurri. Che nell’epoca dei social ci consentono di condividere con loro canzoni neomelodiche e inni nazionali, scherzi ingenui e lacrime per gli infortuni; paradossalmente l’isolamento ci catapulta all’interno dello spogliatoio come non siamo mai stati, coinvolti nella loro gioia e nell’entusiasmo più che in quelli di ogni altra nazionale del passato, anche di quelle trionfanti e mundial.

Ragion per cui, in questo Sessantotto del terzo millennio, i ragazzi azzurri stanno facendo la loro rivoluzione allegra e ce la stanno regalando. Per carità, terque quaterque, c’è un fior di ostacolo di nome Spagna, una squadra che ha scritto la storia recente di questo sport non solo a livello continentale, anche se attualmente ha vesti un po’ dimesse; e si gioca d’ora in poi a Wembley, un tempio ostile da sempre complicato da affrontare. Ma c’è qualcosa nel modo in cui stanno in campo, i nostri, che rende nel contempo orgogliosi e partecipi, come quando si va a guardare un figlio che gioca una partita importante.

Si aiutano. Stanno vicini, compatti. Se uno va in difficoltà ce n’è un altro immediatamente pronto a dargli una mano, si muovono come guidati da una nota e assimilata coreografia, è strano immaginarli avversari agguerriti nelle partite di campionato. La nostra è forse l’unica squadra vera e propria che si è vista in questi campionati, in cui gli altri si sono aggrappati più o meno vanamente alle loro celebrate stelle poco brillanti e poco polari, alla prova dei fatti.

Comunque vada, ricorderemo di questo europeo 2020 del 2021 la serie ininterrotta di anomalie, ma anche l’arcobaleno del pallone calciato da Insigne con la sua pentola d’oro in fondo alla rete di Courtois, e il silenzio dello spogliatoio raccontato da Gravina per l’infortunio di Spinazzola, una tristezza più forte della gioia di aver battuto il Belgio. E contiamo fortemente sul fatto che questi ricordi vengano integrati e superati da nuove emozioni, perché se mai c’è stata un’Italia che ha meritato un po’ di gioia è questa, anzi siamo questi.

Chi lo sa se ritorneremo a essere come prima, le rivoluzioni raramente lo consentono; chissà se cambieranno per sempre il modo di stare insieme, di passare il tempo, di lavorare o di fare acquisti. Chissà se alcuni di questi cambiamenti potranno portare qualcosa di positivo, o se entreremo in un grigio medioevo dell’espansività privo di strette di mano e di abbracci, e se alla fine il virus venuto dall’oriente avrà curiosamente l’effetto di renderci un po’ orientali nei modi, inchini a distanza e prudenziali mascherine inclusi. Chissà se le varianti finiranno e se la scienza avrà, come ci auguriamo, ancora una volta l’ultima parola, liberandoci dalla malattia e dalle terapie intensive e restituendoci il mondo che avevamo. E chissà se in quel caso avremo la sensibilità di apprezzare una normalità che era tutt’altro che scontata.

Ma adesso ci basterebbe che questi meravigliosi ragazzi azzurri e inattesi, col loro allegro elegante condottiero che si è circondato di vecchi amici, regalassero alla zona bianca un po’ di rosso e verde, e riempissero le strade di cortei forse un po’ imprudenti ma pieni di entusiasmo.

E finalmente privi di paura.

LA STAMPA

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