Affari sporchi con i soldi della carità. E il porporato: “I magistrati? Porci”

Gianluca Paolucci

Una serie di personaggi «spesso improbabili se non improponibili», protagonisti «di un marcio sistema predatorio e lucrativo» che aveva lo scopo di drenare «ingenti quantità di somme raccolte nell’Obolo di San Pietro» che per secoli «ha attinto ai più intimi impulsi della comunità ecclesiale, sollecitata all’assolvimento del precetto della carità e assistenza al prossimo».

Le quasi 500 pagine della richiesta di rinvio a giudizio redatta dalla procura vaticana al termine di due anni d’indagine vanno ben oltre il palazzo di Sloane Avenue a Londra diventato il simbolo di questa storia. E raccontano dettagliatamente quasi dieci anni di finanza opaca e spregiudicata, di corrotti e corruttori, alti prelati, ex ministri e faccendieri, di spoliazione sistematica di risorse altrui – come quelle di Enasarco, una vicenda che in qualche modo è la genesi dello scandalo del palazzo di Londra, di bonifici milionari in conti nei paradisi fiscali – da Dubai alla Repubblica Dominicana – per finire nelle disponibilità dei protagonisti delle malefatte. E più tradizionali mazzette di banconote passate di mano ai tavoli di un bar. Come quelli che Gianluigi Torzi, uno dei personaggi centrali della storia, manda a prendere a Milano dal suo autista Michelino: partenza di buon mattino dalla capitale e fugace incontro in stazione con uno dei soci di Torzi per tornare a Roma entro l’ora di pranzo, in modo da poter effettuare la consegna del denaro come pattuito (nel caso specifico a Fabrizio Tirabassi, secondo la procura vaticana, ex funzionario della Segreteria, risultato molto più ricco di quanto gli inquirenti ritengano legittimo). Dello stesso Torzi è la frase più emblematica di come l’attività predatoria non conosca limiti, né barriere di sorta, tanto meno quelle imposte dalla fede. Mette allo stesso tavolo l’ex ministro Franco Frattini, un avvocato d’affari, un professore legato al vaticano e l’ex vice primo ministro libico Ahmed Maiteg. Scatta una foto dell’allegra tavolata e la invia a un amico con il seguente commento: «La f… unisce tutte le religioni».

Maiteg rappresenta la Libyan Investment Authority, socia di Retelit e oggetto delle attenzioni di Torzi e di Raffaele Mincione, l’altro finanziere di questa storia. A Maiteg, Torzi pagherà una vacanza in Sardegna, 50.400 euro per 4 notti nel luglio del 2018, mentre cerca di convincere i libici di far assumere la presidenza di Retelit a Mincione, che a sua volta aveva la scalato la società di telecomunicazioni con i soldi dell’Obolo e assunto Giuseppe Conte, quando ancora era solo un avvocato, come consulente. A Frattini – che era nell’advisory board di una società di Torzi, con l’ex ministro Giulio Tremonti e l’ex ambasciatore Giovanni Castellaneta – finisce anche un bonifico da 30 mila euro da una società di Torzi, solo che la causale fa riferimento a una prestazione che sarebbe stata svolta da un’altra società.

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