Il valore del centro in politica

di Angelo Panebianco

E se non fosse solo una tregua? Non è forse possibile che il governo Draghi abbia innescato un duraturo cambiamento di rotta? Non è possibile che stia prendendo corpo un nuovo ciclo nel quale le posizioni estreme perdono appeal e il «centro» politico riacquista forza, valore, capacità di attrazione? Non è questa la vulgata. La politica continua a rappresentare se stessa come se fosse dominata dal duro confronto fra la Destra e la Sinistra, ciascuna impegnata, l’una contro l’altra, in un permanente «conflitto di civiltà». Le apparenze sembrano dare ragione ai sostenitori della vulgata. Il comune sostegno al governo — imposto dall’emergenza pandemica e dal vincolo europeo — non impedisce al Pd e alla Lega di scontrarsi quotidianamente. E anzi proprio l’impossibilità di fare venir meno quel sostegno spinge gli antagonisti ad accentuare al massimo le loro differenze identitarie. In queste condizioni non sembrano esserci in prospettiva spazi per una riaggregazione al centro della politica italiana. Quando si chiuderà la parentesi del governo Draghi, secondo l’opinione prevalente, la polarizzazione destra/sinistra tornerà a dispiegarsi senza più ostacoli e il centro resterà vuoto, inesistente. Come è ormai da molti anni. I sondaggi danno manforte alla vulgata. Danno per vincente una destra in cui le componenti più moderate appaiono deboli e subalterne. I sondaggi, insomma, fotografano una situazione di spinte centrifughe e di polarizzazione politica.

In queste condizioni le posizioni politicamente meno remunerative appaiono proprio quelle di centro. Ma i sondaggi si limitano a registrare le intenzioni di voto del momento. L’evoluzione politica è però una cosa più complessa, i sondaggi non possono anticiparla. Nessun sondaggio pre-elettorale (prima delle elezioni del 2018) avrebbe potuto prevedere la formazione del governo fra 5 Stelle e Lega nè quello successivo fra 5 Stelle e Pd. Per la stessa ragione, nessun sondaggio può anticipare quali alleanze parlamentari prenderanno forma dopo le prossime elezioni. E tutto ciò vale anche se non si mettono in conto avvento e ruolo del governo Draghi. Se non che, dal governo Draghi e dai suoi effetti non è proprio possibile prescindere.

Man mano che passa il tempo diventa sempre più difficile definire «tecnico» questo governo. Nonostante il fatto che nella tradizione italiana tecnico sia sinonimo di «competente» e che la competenza sia una virtù che gli italiani, per lo più, sono poco propensi ad associare alla politica. Checché ne dicano le inconsolabili vedove del governo Conte, nell’opinione pubblica si è fatta strada la consapevolezza che l’attuale esecutivo unisca competenza e taratura politica.

Questo governo è a tutti gli effetti un governo di centro. Non lo è solo, banalmente, perché, data la composizione della coalizione che lo sostiene, deve tenersi in equilibrio fra la destra e la sinistra. Lo è anche perché, fatti salvi gli effetti, più o meno distorsivi, delle inevitabili mediazioni quotidiane, le sue politiche tengono la barra al centro, si sforzano di unire interventismo statale selettivo e sostegno al mercato e alla iniziativa privata, attenzione alle fasce più povere della popolazione e misure a favore dello sviluppo e della crescita. Chi accusa il governo Draghi di essere «liberista» non conosce il significato della parola, straparla.

L’azione neo-centrista del governo Draghi può avere successo oppure no. Se arriverà il successo — sotto forma, innanzitutto, di una sostenuta ripresa economica capace di durare nel tempo — ne uscirà rivoluzionata la politica italiana. Se le politiche di centro hanno successo, ne consegue che le posizioni di centro tornano ad essere politicamente appetibili.

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