Il valore del centro in politica
Certo, sono in gioco anche altri fattori. La fine dell’era Trump ha ripercussioni in Europa: toglie spazio ai movimenti estremisti. Sta accadendo in Francia e in Germania. Prima o poi l’onda arriverà anche da noi. C’è poi la disgregazione in atto dei 5 Stelle: il conflitto fra Grillo e Conte è una conseguenza della nascita del governo Draghi. Non sarebbe esploso se Conte fosse ancora a Palazzo Chigi. Un eventuale partito di Conte cannibalizzerebbe 5 Stelle e Pd ma difficilmente potrebbe catturare consensi al di fuori di quei confini: solo elettori 5 Stelle e Pd potrebbero votare per un partito composto da ex grillini.
Per un insieme di ragioni, insomma, se il governo Draghi durerà ancora a lungo e se la sua azione avrà successo, si apriranno, plausibilmente, vaste praterie al centro dello schieramento politico. È possibile che anche l’elezione del presidente della Repubblica finisca per premiare, in Parlamento, movimenti trasversali e aggregazioni al centro. Bisognerà poi vedere se coloro che sceglieranno quella posizione, saranno anche capaci di esprimere, in sede elettorale, una leadership credibile oppure se sapranno solo beccarsi come i capponi di Renzo.
In politica non bisogna mai dire mai. Immaginiamo uno scenario che ricorda abbastanza da vicino ciò che un grande scienziato politico, Giovanni Sartori, chiamava «pluralismo estremo e polarizzato»: un centro occupato da un solo partito o da una pluralità di partiti che governano insieme e forze estremiste (sia di destra che di sinistra) all’opposizione. Non è uno scenario improbabile. Il successo delle politiche di centro del governo Draghi potrebbe avere l’effetto (collaterale, indiretto) di portare qualche beneficio elettorale a formazioni centriste o neo-centriste (siano esse guidate o meno dallo stesso Draghi). Basterebbe forse un quindici per cento di consensi, o giù di lì, conquistato da una siffatta formazione per smentire la vulgata sulla inevitabile lotta senza quartiere fra la destra e la sinistra. I numeri parlamentari potrebbero favorire la formazione di una coalizione di governo che escludesse da un lato i Fratelli d’Italia e, dall’altro, i grillini sopravvissuti. Vi verrebbe attratto, plausibilmente, il partito di Conte. Ma anche, pur fra contorsioni e mal di pancia, i due nemici irriducibili, il Pd e la Lega. Un centro politicamente remunerativo diventa infatti una calamita. Non sarebbe comunque la prima volta nella storia delle democrazie parlamentari. Capita che cane e gatto, anche al di fuori di condizioni di emergenza, siano costretti a governare insieme. In Italia, per giunta, come è noto, i «valori» (soprattutto quelli politici) godono di una certa flessibilità.
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