Covid, ecco chi rischia di più di finire in terapia intensiva

Giampiero Maggio

Il Regno Unito segna un altro picco di contagi: sono 32 mila i casi, ma i morti scendono (sono 33). La Francia annuncia una «mobilitazione generale per raggiungere l’immunità collettiva», mentre in Italia la situazione, al momento, sembra tranquilla anche se da una settimana a questa parte stanno aumentando i contagi. 

La cosa più importante, però, è che ospedalizzazioni e numero di vittime, anziché aumentare, continuino a diminuire. Ma chi finisce in terapia intensiva oggi? Qual è l’identikit delle vittime e perché è tutto diverso rispetto a pochi mesi fa? E se è vero che l’esempio da seguire è quello del Regno Unito (dove i casi di coronavirus continuano a crescere ma, nonostante ciò le vittime restano basse), noi che cosa ci dovremo aspettare? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Di Perri, responsabile del reparto di Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia.

Professore, quale è l’identikit delle persone che ricoverate nelle terapie intensive? 

«E’ cambiata tipologia rispetto a qualche mese fa. Oggi abbiamo persone tendenzialmente molto più giovani: sono spariti i settantenni e gli ottantenni, ma abbiamo i quarantenni e i cinquantenni. Ci sono, ovviamente, anche le persone sopra i 60 anni. ma tendenzialmente l’età media è calata».

Come mai? 

«Il motivo è legato essenzialmente ai vaccini. Chi è stato sottoposto ad una doppia dose ha un basso rischio di contrarre il virus e, se succede, è come un raffreddore. Semmai ha un rischio pari quasi a zero di finire in ospedale o di morire».

Qualche esempio che ci può raccontare? Li possiamo definire no vax?

«Beh, direi di no. Nel senso che non si professano contro il vaccino, poi magari ci saranno anche loro. Diciamo che la caratteristica principale è che non sono vaccinati».

Qualche storia che lei ricorda in modo particolare?

«Ci è capitato di avere in reparto qualche negazionista del Covid: continuavano a negare l’esistenza del virus eppure non respiravano e stavano finendo in terapia intensiva. Ci dicevano: “Ma perché ci state facendo questo se il virus non esiste?”».

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