Giorgia Meloni: “Sul ddl Zan nessuna fobia, idee diverse. La sinistra usa i gay come scudi umani”

Niccolò Carratelli

ROMA. Giorgia Meloni si è stufata di sentirsi dare dell’omofoba. «Sono contraria alla legge Zan per motivi che nulla hanno a che fare con l’omofobia – dice la leader di Fratelli d’Italia – qua non c’è nessuna fobia, è una questione razionale, si possono avere idee diverse sui contenuti di una legge». Unica leader dell’opposizione al governo Draghi, con cui pure mostra di coltivare un certo feeling, aspirante leader del centrodestra, ma «io e Salvini non ci odiamo, c’è lealtà reciproca», fieramente critica dell’attuale modello europeo: «Chi propone di cambiarlo non è un mostro». Nell’intervista con il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, per la trasmissione “30 minuti al Massimo” (versione integrale su lastampa.it), Meloni ribalta la prospettiva e accusa la sinistra di «fare battaglia politica sulla pelle di gay e lesbiche, usando i più fragili come scudi umani per fare altro».

Questo vale anche per chi si oppone alla legge Zan, o no?
«No, dovrebbe chiederlo a molti omosessuali orgogliosi che non sono incappati nelle lobby gay e non amano farsi usare ed essere oggetto di propaganda. Nel merito, credo che portare nelle scuole elementari il tema dell’omosessualità non c’entri niente con la discriminazione. Tra l’altro, nelle stesse scuole in cui non facciamo educazione sessuale. Perché siamo sessuofobi? No, perché è un tema complesso e io credo sia meglio venga affidato alle famiglie. Qui non c’è nessuna fobia, solo un punto di vista diverso».

Quindi FdI la legge Zan non la voterà a prescindere? Anche se alla fine Salvini e Renzi riescono a modificarla?
«Vediamo se e come la modificano. Un conto è prevedere aggravanti in caso di discriminazione, ma la legge Zan fa tutt’altro».
A proposito di leggi, come valuta quella anti lgbt del governo ungherese di Orban?
«Ho letto quella legge e mi pare molto diversa da quello che avete scritto sui giornali. Con toni che io non userei mai e che possono non piacere, dice una cosa semplice: non si fa propaganda gender nelle scuole, soprattutto se a farla sono associazioni che non sono riconosciute dal sistema formativo ungherese. Da qui a dire che è una legge omofoba ce ne passa».

L’ha criticata con forza anche la presidente della Commissione europea Von der Leyen: sta con lei o con Orban?
«Io sto con Giorgia Meloni e con l’Italia, sempre. La cheerleader la faccio fare ad altri. Ma mi faccia dire che, visto che l’Ue è così sensibile su questa materia, credo debba essere coerente. Porteremo in Parlamento una proposta, affinché il governo Draghi si faccia promotore, a livello europeo, dell’iniziativa di sospendere gli accordi commerciali con tutti i Paesi che puniscono l’omosessualità come un reato. E vediamo chi la vota».

Intanto ha fatto discutere la vostra firma del cosiddetto manifesto dei sovranisti: è compatibile con i valori europei?
«È un tentativo di far emergere nel dibattito anche un altro modello di Europa, diverso dall’attuale. La conferenza sul futuro dell’Europa è stata disegnata per confermare una tesi, che è quella federalista, che espropria sempre di più gli Stati nazionali delle loro competenze. Io credo, invece, in un modello confederale: l’Unione si occupa delle grandi materie, come la politica estera, di cui oggi non si occupa, e lascia agli Stati le materie più vicine ai cittadini. Lo sosteneva un padre fondatore come De Gaulle, oggi chi lo dice viene considerato un eretico, un mostro. E questo mi sembra un po’ dittatoriale, a lei no?».

Con Mario Draghi come va? Il confronto è positivo?
«Ci ascolta, si rende conto della serietà delle nostre proposte, ad esempio sul cashback, uno strumento che noi avevamo criticato già un anno fa. In alcuni casi condivido le sue mosse, in altri meno, come sul decreto Sostegni, che ho considerato in continuità con il governo Conte. Sul Pnrr non ho apprezzato il metodo, perché il Parlamento non ha potuto leggere prima il documento, al contrario della Commissione europea, mentre alcuni contenuti vanno bene, altri mancano».

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