“Impreparati alla rivoluzione del digitale”, a rischio un milione e mezzo di lavoratori

Fabrizio Goria

“Impreparati alla rivoluzione del digitale”, a rischio un milione e mezzo di lavoratori

TORINO. Almeno 1,5 milioni di lavoratori italiani è a rischio. Anche con la ripresa che sarà. L’allarme arriva dal XXV Rapporto sull’economia globale e l’Italia, a cura del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo. Le cicatrici della pandemia sono profonde e il timore è che l’autunno produca un picco di disoccupazione. Una doccia fredda che potrebbe rallentare la ripartenza economica, amplificare le tensioni sociali e ridurre la competitività delle imprese.

«Al di là dell’avvio del Recovery Plan, il primo vero scoglio della ripresa sarà l’impatto con la realtà del mercato del lavoro». Un monito che non si può non considerare, quello del Centro Einaudi, che ricorda come il blocco dei licenziamenti abbia permesso di ridurre la perdita di occupati al 3,2 per cento. Ovvero, circa 520 mila persone, in gran parte donne. Tuttavia, «è difficile pensare che tutti gli addetti che si sono fermati tornino al loro posto. I lavoratori dipendenti in cassa integrazione nell’ultimo trimestre del 2020 corrispondono a 1,5 milioni equivalenti a tempo pieno». E la nuova normalità, cui si arriverà progressivamente, non potrà garantire una riallocazione nel mercato occupazionale in modo simultaneo. «Più facile la possibilità che il rientro avvenga nel tempo di realizzazione del Recovery Plan», sottolinea lo studio.

Da un lato la digitalizzazione e dall’altro le nuove competenze richieste dal mondo post-Covid rischiano dunque di escludere dal mercato del lavoro milioni di italiani. Per questa ragione, avvertono Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, «gli 1,5 milioni di occupati rappresentano il numero minimo delle persone da considerare a rischio non solo di non tornare all’occupazione precedente, ma di trovarsi costrette a cercare un’occupazione diversa, essendo completamente o parzialmente prive delle competenze necessarie per farlo». A patire di più potrebbero essere nuovamente le giovani generazioni. Come ha rilevato l’Ocse, in Italia la disoccupazione giovanile è cresciuta «da un livello già alto del 28,7% al picco del 33,4% lo scorso gennaio».

Gli ammortizzatori sociali, finora, non sono mancati. Ma il rapporto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo valuta anche l’impatto delle misure correnti. Come la Naspi: «Un milione di lavoratori in Naspi costerebbe allo Stato circa 15 miliardi di euro», spiega l’analisi. E costerebbe, aggiunge, «solo il 25% in più se invece si aprissero dei cantieri di lavoro temporaneo, con vantaggi per i lavoratori (che trascorrerebbero un anno sia in formazione sia lavorando, aumentando la loro occupabilità successiva) e per le amministrazioni (che riceverebbero un innesto temporaneo accelerando processi e progetti arretrati, tutt’altro che difficili da individuare)». Il problema di lungo periodo rilevato dagli economisti riguarda la formazione continua, che avrebbe dovuto affiancare le azioni per contenere la disoccupazione.

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