Cartabia: «La riforma della giustizia? Non è solo un compromesso, ma rispetto della Costituzione»
Con la dichiarazione di improcedibilità, però, il problema dell’impunità resta.
«Uno
dei principi in cui più credo è che dopo un reato occorre sempre una
“parola di giustizia”. Ed è per questo che anche dopo 40 anni ho
lavorato per ottenere dalla Francia il via libera alle procedure per le
estradizioni degli ex terroristi rossi, macchiatisi di reati gravissimi.
Qui non si tratta di concedere l’impunità a nessuno, bensì di fare in
modo che in tutta Italia i processi arrivino a quella parola di
giustizia in tempi certi. Perché se a Milano a Palermo questo è già
realtà, non dovrebbe esserlo anche altrove? Ogni imputato ha il diritto di sapere se è colpevole o innocente in tempi ragionevoli. Come la vittima e i suoi familiari devono avere quelle risposte in tempi altrettanto brevi».
Ma come
si può pensare che superare due o anche tre anni per un processo
d’appello non diventi un obiettivo per imputati e avvocati, come
accadeva con la prescrizione?
«No, non è possibile.
Abbiamo pensato anche a questo, introducendo sospensioni che bloccano la
clessidra; ad esempio nei casi di legittimo impedimento.
L’improcedibilità non può essere un escamotage per difendersi dal
processo».
Non teme una “falcidia” di processi in
realtà come Napoli, Reggio Calabria, Roma o Catania, dove la durata
media dei processi di appello va da tre a cinque anni?
«I
tempi che abbiamo fissato si basano sui termini della “legge Pinto” che
risarcisce le vittime dell’irragionevole durata dei processi, oltre sei
anni per i tre gradi. Dunque, è giusto chiedere che i tribunali li
rispettino. In 19 distretti d’Italia questo già avviene. In grandi città
come Milano, Palermo e Genova, con processi anche complessi, l’appello
già dura meno di due anni. Poi ci sono Bari, Bologna e Firenze con tempi
medi di poco superiori ai 2 anni. Ma è sulle realtà che lei citava
prima come Napoli e altri sei distretti, che noi dobbiamo intervenire.
Con più risorse, più magistrati, cancellieri, personale tecnico; con più
tecnologia e anche con queste modifiche del rito. Perché mai a Napoli
non dovrebbero riuscire a fare quello che fanno già a Palermo, se noi
assicuriamo le condizioni giuste? Il tempo per supportare gli uffici
giudiziari più in affanno c’è. E rispetto al passato, la vera svolta è
che ora abbiamo risorse come mai prima. Ci saranno due concorsi in
magistratura, ora entreranno altri 2700 cancellieri, ci saranno
interventi anche sull’edilizia e sulla digitalizzazione. E arriveranno a
partire dai prossimi mesi, 16.500 assistenti per l’ufficio del
processo. Sto girando l’Italia e sto raccogliendo grande attesa per
questa novità, perché laddove la sperimentazione dell’Ufficio del
processo c’è già stata, i tempi di durata dei procedimenti sono stati
abbattuti drasticamente. La giustizia è un pilastro troppo importante
del Paese, per permettere diseguaglianze».
Che cosa risponde a chi ha definito la sua riforma un placebo, anziché un vaccino?
«Dico
di leggere con attenzione tutto il testo. Non solo la prescrizione.
Questa riforma è un vaccino proprio perché sveglia gli anticorpi del
sistema immunitario della giustizia, che ha al suo interno forze
straordinarie, che devono essere messe nelle condizioni di operare al
meglio. Nella riforma si interviene su tutte le fasi del processo: dalla
regolazione dei tempi per le indagini all’uso di videoregistrazioni per
gli interrogatori, a una più severa regola per disporre il rinvio a
giudizio, fino a una incisiva riforma delle sanzioni alternative alle
pene detentive brevi. Quest’ultimo punto per me è molto qualificante,
unitamente alla previsione della giustizia riparativa».
La prossima tappa è la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, che dopo il caso Palamara è diventata materia politicamente incandescente. Teme che le tensioni politiche si ripresenteranno come o peggio che sul penale? E come pensa di poter trovare una mediazione tra le diverse posizioni?
«Abbiamo tempi strettissimi anche in questo caso. E stavolta non solo per gli impegni del Pnrr, ma anche per il rinnovo del Csm tra un anno. Un punto è assodato: l’organo di autogoverno non potrà essere rinnovato con queste regole. Chiusa la riforma del processo penale, ora mi concentrerò su quest’altro capitolo, valutando anche cambiamenti che potrebbero richiedere modifiche costituzionali».
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