Gli interessi di Salvini e Renzi con vista sul Quirinale (e i colloqui con Parolin)

di Francesco Verderami

Gli interessi di Salvini e Renzi con vista sul Quirinale (e i colloqui con Parolin)

«Matteo e Matteo» passano ormai per una coppia di fatto e a benedire questa unione politica l’altra settimana è stato il cardinale Parolin.

Il segretario di Stato del Papa ha chiamato Salvini e Renzi per esortarli a «dare un’occhiata» alla legge Zan, perché contribuiscano cioè a «migliorare» un provvedimento che sta dividendo il Parlamento più della riforma sulla giustizia. E se persino il Vaticano li accredita come aghi della bilancia politica italiana, vuol dire che davvero c’è del tenero tra il capo della Lega e il leader di Iv, additati come dioscuri di un patto che dovrebbe manifestarsi quando si voterà per il capo dello Stato. Anzi, proprio il passaggio sulla legge Zan viene considerato una sorta di prova generale in vista della corsa al Colle. In realtà l’accordo sul nome del capo dello Stato i due non l’hanno (ancora) trovato, e men che meno c’è intesa sulla futura legge elettorale.

La verità è che tra i due Matteo oggi vige solo una convergenza di interessi: Salvini grazie alla sponda di Renzi può dire che «su temi come le tasse c’è una nuova maggioranza in Parlamento»; e Renzi grazie alla sponda di Salvini può picconare ciò che resta dell’alleanza tra il Pd e M5S. Il primo si prepara a ricevere il sostegno del secondo per i referendum sulla giustizia. Il secondo attende l’appoggio del primo sul prossimo referendum per l’abolizione del reddito di cittadinanza. Ma immaginarli parte di una stessa coalizione è puro esercizio di fantasia, anche perché non si fideranno mai completamente l’uno dell’altro, malgrado i buoni uffici di Verdini.

Il loro sodalizio si era rotto quando Renzi votò al Senato l’autorizzazione a procedere contro Salvini che non voleva più «nemmeno sentirlo nominare»: d’altronde era stato già fregato quando puntava alle elezioni con la crisi del Conte 1 e l’altro aveva agevolato la nascita del Conte 2. Poi però si compattarono per evitare il Conte 3. Per una volta il lombardo credette al toscano che gli raccontò delle sue gite a Città della Pieve, dove andava a trovare Draghi con l’auto della moglie, dopo aver congedato la scorta che lo lasciava a Firenze. Più che un’operazione politica a Salvini sembrava una spy story. «Arriva lui, dammi retta», gli diceva Renzi. E siccome glielo ripeteva anche Giorgetti, il capo della Lega diede una mano all’altro Matteo, avvisandolo delle manovre di Conte per strappargli i senatori di Iv.

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