Supermario pragmatico

Massimiliano Panarari

Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre fanno una prova. Il trittico indiziario a supporto dell’esistenza del «metodo Draghi» è stato ampiamente superato; e due ulteriori e sostanziosi segnali sono giunti nelle ultime 48 ore. Prima, il lodo Cartabia sulla giustizia, con la Guardasigilli che ha voluto sottolineare il ruolo decisivo svolto dal premier per arrivare a una mediazione. E per fare avanzare così quella riforma del nostro ordinamento giudiziario da cui dipende in maniera significativa l’accesso alle risorse del Next Generation Eu (mentre, a volte, sembra che tale consapevolezza non sia adeguatamente presente presso certe forze politiche).

Essendo, per l’appunto, il superamento delle nostre criticità in materia (a partire dalla riduzione della durata dei giudizi civili e penali gravati da troppi “processi lumaca”) condizione necessaria e indifferibile affinché arrivino i fondi del Pnrr. E, ieri, è arrivato il blitz sulle nomine dei vertici Rai, in virtù del quale il ministro dell’Economia Daniele Franco, d’intesa con il premier, ha indicato per il nuovo consiglio di amministrazione Carlo Fuortes e Marinella Soldi (che verranno proposti rispettivamente per il ruolo di ad e di presidente).

Il «metodo Draghi» si colloca rigorosamente sul piano del merito dei problemi da affrontare, come si è visto nei cambi di passo e di registro introdotti nella governance della lotta alla pandemia e dei servizi di intelligence e in Cassa Depositi e Prestiti. E si nutre sempre di questioni di merito. Rispetto a cui i «problemi di metodo» sulla riforma della giustizia, evocati dal ministro in quota contiana Stefano Patuanelli, si configurano come una patente discrasia proprio sul piano della metodologia decisionale. E segnalano, soprattutto, il vizio tutto politicistico – un riflesso pavloviano dei partiti – di ricorrere alla dissimulazione anche nelle discussioni interne agli esecutivi dei quali si fa parte. Come era prevedibile, il «Magma 5 Stelle», squassato dalla lotta intestina, ha istantaneamente cominciato a produrre i suoi effetti destabilizzanti sul governo Draghi, e per distinguersi marca il terreno su un filamento originario del suo Dna quale il populismo penale. Col paradosso – che abbiamo visto essere a sua volta costitutivo del M5S –, ma non troppo, di Beppe Grillo impegnato a sminare le tentazioni revansciste e barricadiere dei ministri, e Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede intenti invece a innalzare i toni e pronunciare anatemi che possono mettere a repentaglio il fragile compromesso raggiunto in Consiglio dei ministri sul lodo Cartabia.

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