Quello spirito che chiamiamo unità nazionale Quello spirito che chiamiamo unità nazionale
La voglia di “notti magiche” che ci attraversa va molto al di là dei traguardi sportivi. Vorremmo chiudere il cerchio da dove lo avevamo aperto. A febbraio del 2020 ci affacciavamo ai balconi in pieno lockdown sventolando il tricolore e cantando l’Inno di Mameli, per esorcizzare il Male. Ora vorremmo tanto rifarlo, ma per celebrare il Bene. Abbiamo fretta di riprenderci la vita, anche se abbiamo ancora tanti problemi da risolvere. Sul fronte sanitario, la campagna vaccinale è ancora insufficiente, l’immunità di gregge è lontana, non riusciamo a vaccinare medici e professori per garantire la ripresa della scuola a settembre, la metà povera del pianeta non ha antidoti, e nel frattempo arrivano le varianti: per tirarci fuori dai guai non basterà pregare Santa Rita, come fa il pio generale Figliuolo. Sul fronte economico, la prospettiva di un autunno caldo è tutt’altro che scongiurata: e se in assenza di una nuova rete di ammortizzatori universali le aziende approfittano dello sblocco per fare licenziamenti di massa via mail, come è appena accaduto ai 155 lavoratori della Gianetti di Monza e ora ai 422 della Gkn di Campi Bisenzio, allora la bomba sociale può esplodere davvero. Sul fronte politico, le fratture interne alla coalizione rischiano di intralciare la modernizzazione di cui il Paese ha un drammatico bisogno: dall’attuazione del Recovery Plan all’approvazione della legge Zan, dalla revisione del regime fiscale alla gestione delle politiche migratorie, tutto rischia di languire nel pantano parlamentare.
Ma dopo cinque mesi di governo Draghi non possiamo non vedere che il Paese sta recuperando almeno un po’ del terreno perduto. Sul fronte internazionale, il premier italiano occupa lo spazio politico dal quale Angela Merkel si sta gradualmente ritirando in vista delle elezioni tedesche di settembre, e oggi esercita una leadership riconosciuta sui dossier decisivi, da quello sulla difesa dei diritti contro i Paesi di Visegraad a quello sulla revisione del Patto di stabilità contro gli Stati nordici. Sul fronte interno, il finto Tecnico impone il suo “metodo” a un sistema dei partiti che non ha né idee né energie per opporgli una credibile resistenza, e chiude in 48 ore due dossier spinosi come il nodo prescrizione e le nomine Rai: cioè giustizia e informazione, i due campi sui quali maggioranze e opposizioni hanno costruito il Muro di Arcore e guerreggiato inutilmente per quasi trent’anni. Nel frattempo Commissione Ue, Bankitalia e Tesoro “vedono” un Pil in crescita di oltre il 5 per cento: è già tanta roba, nonostante un debito-monstre, una disuguaglianza sociale insopportabile, un livello di occupazione femminile inaccettabile e un tasso di disoccupazione giovanile intollerabile.
Senza retorica patriottarda, in un tempo in cui in troppi si dichiarano “patrioti” a sproposito: ma questa Italia, oggi, merita di più e di meglio di quanto abbiano espresso le sue classi dirigenti degli ultimi decenni. La vera “unità nazionale” non può essere dettata solo dalla necessità o dall’urgenza di un momento. Con fatica, spirito di squadra e senso dell’onore, possiamo metterci alle spalle il vecchio stigma da Belpaese tutto “pizza e spaghetti, mafia e mandolino”. Il nostro sport ci è già riuscito, chiunque issi il trofeo questa sera sul prato di Wimbledon e Wembley. E se è vero che “si gioca come si vive”, per dirla con l’immenso Osvaldo Soriano, magari un giorno ci riuscirà anche la politica.
LA STAMPA
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