L’Europa tifa Italia
GIULIA ZONCA
Una finale che definisce la redenzione è difficile da giocare. Italia-Inghilterra a Wembley è questione di identità, di storia e sì, certo, di pallone ma stavolta entrambe le squadre, per motivi diversi, sembrano incarnare il meglio dei Paesi che rappresentano e soprattutto superare il peggio.
Lo stadio che, fino a qui, ha più racconti che ricordi sembra una torta a strati e l’arco è uno svolazzo di zucchero, è il dolce che aspetta di accendere le candeline, i fuochi d’artificio, per chi dei due completerà il viaggio e potrà concedersi altri desideri. La perdente ne uscirà benissimo, ma a questo punto è il trofeo che stabilisce la svolta. Come se l’immagine costruita a partire da umiliazioni, errori, sviste, fraintesi avesse bisogno di un’altra foto per ancorare il momento e mostrarsi definitivamente.
A ritroso: tra crisi e fuga
Questa Italia-Inghilterra si gioca tra gli scatti di Chiesa e le folate di Sterling, tra i piedi Jorginho e gli spazi creati da Kane, però è iniziata cinque anni fa. Siamo nel 2016, un altro evo in pratica, siamo al precedente Europeo quando in 10 giorni le due finaliste di oggi perdono ogni certezza. Il 23 giugno 2016 la Brexit passa al referendum e l’Inghilterra del calcio si sveglia in Francia senza sapere che faccia fare. Loro, i padroni dell’adorata, straguardata, strapagata Premier alle prese con le carte di uscita, gli extracomunitari che cambiano confini, la paura di tornare agli Anni Ottanta e senza la stessa musica. Il 27 giugno l’Inghilterra lascia pure l’Europeo, una batosta epocale contro la debuttante Islanda. Il 2 luglio l’Italia perde dagli undici metri contro la Germania e non ci sarebbe proprio nulla di svilente, tanto più che siamo ai quarti però si saluta con una vena ridicola, con i rigori clowneschi di Pellè e Zaza a cui resta appiccicata un’ombra di inaffidabilità. Il profilo diventerà tristemente reale nei due anni successivi, per la prima volta dal 1958 gli azzurri mancano i Mondiali e gira tutto storto. Non siamo credibili, non siamo concreti calcisticamente e politicamente, non siamo neanche divertenti. Dopo il collasso del 2016 la nazionale inglese si scolla dalla nazione e fa un percorso contrario, riemerge e pure con una dignità che non ha nulla a che fare con la retorica tradizionale. Niente «noi siamo un’isola chiusa nel nostro splendore», ma noi siamo aperti e ci interessa la ricchezza delle differenze. Si riprendono, arrivano alle semifinali Mondiali, con questo tecnico, lo stesso Southgate che dopo l’ultimo allenamento dice ai suoi: «Avete già creato un’eredità, avete guadagnato il rispetto, ora dovete decidere per che cosa sarete ricordati». Se per essere i primi ad arrivare al massimo dal 1966 o per essere quelli che ci sono andati tanto vicino.
L’Italia nel 2018 stava davanti alla tv a ruminare fastidio e in questa competizione è riemersa issandosi su due punti fermi che non appartengono al nostro Dna. I numeri di una solidità assoluta, 33 partite senza sconfitte e la forza di chi ha equilibrio. I ragazzi di Mancini si divertono, fanno yoga, mangiano le brioche alla crema quando rientrano in ritiro di notte dopo la partita, giocano per piacere, senza freno a mano. A un minuto dai rigori contro la Spagna, quando di solito la tensione squadra le facce, Chiellini mette in campo un gag con l’inconsapevole Jordi Alba sul sorteggio dei rigori. Quanto convinto di quello che fai devi essere per ridere, proprio ridere di gusto, mentre sta per partire una riffa che ti può togliere tutto. E Jorginho, anzi Giorgio, come lo chiamano in azzurro si prende la palla che scotta, il passaggio del turno, e non pensa neanche un secondo al rischio di bruciarsi. Centra il rigore con tutta la serenità che ha portato l’Italia fino a qui. Non è solo una squadra ricostruita è un atteggiamento che non siamo abituati a vedere.
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