M5S, Giuseppe Conte critica il governo Draghi e spiazza i “suoi”. Il M5S rischia di esplodere
Giuseppe Conte sta giocando una partita che rischia di vanificare il percorso lungo quindici anni con cui Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio e migliaia di attivisti hanno costruito un soggetto politico che, almeno nelle intenzioni, doveva essere un veicolo che avrebbe portato nelle istituzioni persone competenti e animate dal bene comune. Ora lo scenario è cambiato: il M5S è dilaniato da due visioni opposte.
Da un lato c’è Beppe Grillo che vuole continuare ad avere l’ultima parola sulle decisioni di quell() che una volta chiamava «non partito», anche perché con la morte di Gianroberto, il manager visionario che ha inventato la seconda vita tecnologica e politica – del comico, il suo ruolo è inevitabilmente diventato decisivo benché in passato abbia dato l’idea di voler tornare a fare l’attore a tempo pieno. Dall’altra parte, invece, c’è Giuseppe Conte, l’ex premier uscito dal cappello a cilindro dell’ex ministro Bonafede.
Non è mai stato un 5 Stelle ma quando l’allora capo politico Luigi Di Maio gli chiese di far parte di un eventuale governo del MoVimento disse si. Gli eventi lo hanno portato a Palazzo Chigi. Dopo essere stato deposto dalla raffinata spregiudicatezza di Matteo Renzi, vorrebbe tornare sulla scena ma costruire un suo partito sarebbe un salto nel vuoto: i sondaggi continuano a mostrare il gradimento degli italiani per l’«avvocato del popolo» (prima abile definizione inventata da Pietro Dettori) ma, considerato che le elezioni potrebbero esserci tra quasi due anni, l’operazione sembra assai difficile. Dunque l’ex premier punta a guidare ciò che resta del MoVimento ma con i «pieni poteri».
Per questo ha costruito un nuovo statuto, senza confrontarsi con nessuno, che assegna al capo (cioè a lui), ratificato da una votazione degli iscritti, la facoltà di guidare i 5 Stelle, lasciando un ruolo simbolico a Grillo. È quello che hanno cercato di fare da almeno quindici anni tanti presunti delfini di Silvio Berlusconi, senza ottenere niente altro che l’uscita dal partito. La scelta di Conte rischia dunque di dividere il MSS ma, politicamente, ha il sapore di una manovra masochistica. Come si può pensare di guidare il partito che aveva tra i suoi mantra quello che «il leader non esiste, il MoVimento è il leader», quello stesso partito che ha sempre rifiutato sedi, tessere, dirigenti, rimborsi elettorali, trasformandolo in un soggetto politico stile Novecento? E qui che l’ex premier mostra la sua estraneità alle radici dei 5 Stelle ma anche la sua miopia politica, che rischia di mandare in tilt pure i suoi fedelissimi.
Il MoVimento, cresciuto troppo in fretta e ancora pieno di convinzioni e provenienze ideologiche differenti, arrivato a essere il primo partito italiano dopo le elezioni del 2013 e del 2018, non potrebbe mai diventare una piccola Dc (10-15%) con una maggioranza che guarda a sinistra. Ma questa è soltanto la prima fallacia della visione politica dell’ex premier. La seconda è la sua contrapposizione con Mario Draghi, che lo rende ancora più debole, anche agli occhi di chi lo sostiene. Le critiche alla riforma Cartabia diventano un boomerang per Conte, considerato che l’intesa su quelle norme è stata raggiunta dai ministri Di Maio e Patuanelli (quest’ ultimo schierato con l’avvocato del popolo).
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