La (buona) rete sociale e i preziosi custodi del bello
Se il progetto di sviluppo dei «custodi del bello», adottato da Caritas, venisse realizzato, si avrebbero, nell’arco di otto anni, e nelle cento città più popolate, 5 mila 500 squadre di operatori. Visibili con le loro pettorine in giro per le strade. Un’occasione di formazione e lavoro per 36 mila persone. Ma soprattutto si darebbe vita alla più ambiziosa operazione di manutenzione degli spazi pubblici mai avviata in Italia, coinvolgendo cittadini, volontari e imprese e rafforzando il senso civico e l’orgoglio delle comunità. Senza parlare del riflesso, prezioso anche se non valutabile, sulla sicurezza reale e percepita. Un investimento poi sul nuovo turismo — più esigente nel richiedere cura e pulizia dopo la pandemia — che speriamo torni ad affollare come un tempo borghi e contrade. Un’occasione per condividere una nuova stagione di cittadinanza attiva. Un marchio identitario dell’Italia migliore. Il progetto richiede un cofinanziamento governativo di 245 milioni nei dieci anni e si impegna in un’attività di raccolta di donazioni private — anche attraverso il crowdfunding — di 140 milioni. Ma il contributo privato potrebbe — e aggiungo dovrebbe — essere superiore e ridurre, di conseguenza, il cofinanziamento statale. Tanto sale la quota privata, tanto scende quella pubblica. I cittadini, vedendo all’opera volontari e operatori assunti, saranno certamente riconoscenti e generosi. E poi combattere il degrado, tutelare le bellezze e, nello stesso tempo, dare lavoro e formazione a tante persone, è sicuramente uno dei modi migliori per un’azienda di dimostrarsi sostenibile e inclusiva. Volete mettere il vostro marchio sulla pettorina della squadra che finanziate? Perché no? Quella dei «custodi del bello» è una delle tante ragionevoli utopie del privato sociale, uno dei frutti del senso di responsabilità degli italiani e della straordinaria ricchezza delle comunità. Non va delusa e dispersa.
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