Ecco perché le donne conteranno molto di più

FRANCESCA SFORZA

Se c’è un esempio di come la società civile sia in grado di orientare le politiche dei governi, questo è stato offerto ieri dal primo giorno dei lavori del Summit Women20, che ha visto a Roma rappresentanti della politica nazionale e internazionale, accademici, uomini e donne provenienti dal mondo dell’impresa e del terzo settore prendere la parola sul tema dell’uguaglianza di genere e analizzare, dalle prospettive più diverse, la centralità delle donne nello sviluppo globale. E se resta comunque vero, come ha detto non senza amarezza la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nel suo videomessaggio, che: «Al prossimo vertice G20 potrei essere l’unica donna del gruppo», è altrettanto vero che il risultato del lavoro di W20 sarà consegnato ai leder di 20 Paesi con una serie di proposte che sono allo stesso tempo il frutto di un grande sforzo collettivo portato avanti da oltre un anno, e la piattaforma da cui si svilupperà una visione del mondo più equa, in cui le donne conteranno di più.

Sembrava possibile? No. Ed è bene soffermarsi un momento, allora, su come si è arrivati a questo risultato. Fondamentale è stata la capacità di aggregazione delle donne – cementate dalla tenacia della chair Linda Laura Sabbadini – che hanno dimostrato di saper passare sopra le differenze interne in nome di un interesse e valori comuni. Non era scontato, perché ci sono temi che restano controversi – dalla percentuale delle quote alla definizione della governance, dai diversi punti di vista sul welfare fino alla scelta delle priorità di interventi – e che ciononostante hanno portato a un confronto costruttivo: non sono state solo parole, ma proposte, linee guida, orientamenti. Il fatto che Amina Mohammed, vice segretaria delle Nazioni Unite, abbia già dichiarato che porterà tutte le proposte di W20 all’Onu perché diventino operative la dice lunga sulla capacità di scalata che questo gruppo di lavoro ha saputo mettere all’opera. E però le parole sono state importanti, perché ciò che colpiva, nella prima giornata di lavori, è stata proprio una diversa qualità del linguaggio, condiviso dai politici italiani che sono intervenuti – Casellati, Bonetti, Speranza, Giovannini, Orlando – tutti d’accordo nell’utilizzo di categorie come empowerment femminile, presenza di donne in settori prevalentemente maschili, politiche di conciliazione, potenziamento delle infrastrutture sociali, riconoscimento della capacità di cura. L’edilizia, ad esempio, come ha detto il ministro delle infrastrutture Giovannini, «è un settore centrale nel Pnrr e a predominanza maschile, per questo abbiamo deciso di dare incentivi speciali alle società che si impegnano nell’occupazione di giovani e donne, ma possiamo anche escludere quelle che manifestano comportamenti discriminatori». Nel Piano di ripresa e resilienza c’è una clausola per le imprese partecipanti, il 30% delle assunzioni devono riguardare le donne: «Oltre a monitorare che venga rispettata – propone il ministro del Lavoro Orlando – facciamo in modo che venga applicata non solo per il Pnrr, ma per l’insieme degli investimenti pubblici che si realizzano».

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