Coronavirus, due italiani su favorevoli al modello Macron: sì anche dagli elettori di Meloni e Salvini

Alessandra Ghisleri

Le rigide opzioni in termini di Green Pass e vaccini proposte da Emmanuel Macron in Francia piacciono alla maggioranza degli italiani: il 68,4% è favorevole a un pass obbligatorio che attesti l’essersi sottoposti al ciclo completo di vaccinazione anti-Covid per entrare nei ristoranti, negli alberghi, nei cinema, sui treni, sugli aerei… E il 69,2% condivide la sospensione dell’attività lavorativa e dei relativi compensi per il personale sanitario non vaccinato entro il 15 settembre. Queste percentuali non dovrebbero stupirci se consideriamo che al 13 luglio 2021 33.988.200 di italiani avevano ricevuto una dose e 24.801.699 terminato il loro ciclo vaccinale (fonte Covid-19 Opendata Vaccini).

Se si osservano i dati dal punto di vista della discussione politica, pur con percentuali minori rispetto al resto dell’elettorato, emerge che il 58,7% degli elettori della Lega e il 59,7% di quelli di Fratelli d’Italia si dichiarano favorevoli all’introduzione di un pass sanitario obbligatorio. In tutto questo un cittadino su quattro rimane invece fermo sulle proprie convinzioni, non condividendo la proposta dei cugini francesi e tra questi si riconoscono anche il 10,6% di cittadini già vaccinati.

Nel caso dovesse entrare in vigore una simile restrizione tra i resilienti uno su due rinuncerebbe alla frequentazione di locali ed eventi pubblici (53,2% del 25,5% che si tradurrebbe in un 13,6% sul totale della popolazione), l’11,2% si adeguerebbe facendo tamponi all’occorrenza (2,9% sul totale della popolazione) e il 10,1% (2,5% sul totale della popolazione) cederebbe il braccio al vaccino per poter continuare ad avere una vita pubblica.

Motivare le persone può dimostrarsi di aiuto soprattutto se si prendono in considerazione azioni routinarie e meccaniche. Ed è proprio questa la considerazione che sembra stare alla base di una scelta così severa come la proposta del presidente francese. Oggi infatti i vaccini anti-Covid sono divenuti un’azione «comune» e comunitaria. Sono considerati, nella percezione delle persone, dei vaccini speciali in una posizione a metà tra un vaccino in senso classico e un farmaco vero e proprio. Sappiamo bene che la comunicazione, più che chiarire e aiutare la gente in un processo di fiducia, si è dimostrata confusa e contradditoria, lasciando molto spazio alla libera interpretazione per ciascuno. Le linee guida non sono mai state chiarissime, aprendo delle importanti falle come l’estrema sofisticata espressione di una società in netta difficoltà se non in decomposizione. Il premier Mario Draghi, con la sua esperienza e con l’aiuto di una buona campagna vaccinale pianificata dal generale Figliuolo, ha posto degli argini a questa situazione. Tuttavia oggi il nostro Paese si trova in un importante momento di passaggio, dovendo trovare un nuovo rapporto con il passato e le tradizioni sanitarie e la necessità di messaggi chiari privi di bandiere politiche.

L’insistenza sull’apparire, sull’immagine e sulla teatralità della politica non aiuta ad avere più consensi. L’iperbole della personalizzazione fa comprendere al cittadino che ci stiamo perdendo nel dettaglio, perché ciò che si percepisce dal di fuori del Palazzo è che la posta in gioco non sono le sorti della nazione, ma il semplice campo di gioco.

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