Mario Draghi: “Degli operai Whirlpool ce ne occuperemo noi”
La necessità di un intervento maggiore da parte del Mise la rivendicano anche i sindacati. ”Èarrivato il momento per il ministero dello Sviluppo economico di dimostrare di avere la volontà e le capacità di influire ancora sulle vertenze del nostro Paese”, dice Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm e responsabile del settore elettrodomestici, dopo che la riunione in videoconferenza lascia sul terreno l’avvio della procedura di licenziamento. Il dato inedito è però il Pd che esce allo scoperto, compatto nel chiedere una soluzione per garantire una continuità produttiva a Napoli. Il tema è ancora più largo e più critico se si guarda ai tavoli di crisi attivi al ministero e da tempo. È quello della politica industriale, di come si fa, di come ripartire, di come incastrare la ripresa del Paese calibrata sul Recovery con un sistema che è in affanno, ingabbiato tra crisi generate da fondi stranieri agguerriti, ma anche da piani di rilancio ancora sostanzialmente fermi come quello dell’ex Ilva, ancora da crisi – per prendere in considerazione un’altra prospettiva – che si trascinano da anni, come appunto Whirlpool, che nulla hanno a che fare con il Covid e che durante la pandemia sono state congelate, ma non fatte avanzare verso una soluzione positiva.
La cifra della complessità della grande crisi industriale la dà l’amministratore delegato di Whirlpool Italia poco prima di annunciare i licenziamenti. “Questo è un tavolo aperto da circa 26 mesi”, dice Luigi La Morgia ai sindacati collegati in videoconferenza. I 26 mesi sono quelli trascorsi da quando l’azienda ha annunciato la volontà di chiudere. È un altro elemento di una vicenda che non può essere semplificata con lo schema della multinazionale straniera cattiva. La scelta di non usufruire di nuove settimane di cassa integrazione, tra l’altro pagate dallo Stato, danneggia i lavoratori e soffoca lo spazio a disposizione del Governo per tirare su un piano b, ma più di due anni senza una soluzione alternativa raccontano di innumerevoli tentativi falliti. Quello dei 5 stelle, con Luigi Di Maio ministro dello Sviluppo economico: il piano industriale da 250 milioni, frutto di un accordo sottoscritto a settembre del 2018, fu cestinato dall’azienda dopo nemmeno sette mesi. Ma anche quelli più recenti: Smeg, Prs, Seri, Cmd sono tutti nomi di potenziali cavalieri bianchi che si è riusciti a fare solo avvicinare alla reindustrializzazione dello stabilimento Whirlpool di Napoli.
Ora è evidente che non sempre la colpa è stata dei governi che si sono susseguiti, qualche volta anche i sindacati si sono messi di traverso non fidandosi dei possibili nuovi investitori. Ancora Whirlpool ha disatteso un impegno sottoscritto e ha rifiutato ora una soluzione a costo zero. Neppure i fondi hanno onorato al meglio il loro impegno per l’Italia, tantomeno i big stranieri (il caso dei cinesi del gruppo Wanbao all’Acc di Mel, nel bellunese, è emblematico). Ed è pure evidente che non si può ignorare come la delocalizzazione, che tiene nella pancia un costo del lavoro elevatissimo in Italia, sia un fenomeno che esiste da tempo e che è sfuggito ai governi del Paese degli ultimi vent’anni. Ma la parcellizzazione delle responsabilità non attenua il colpo, semmai evidenzia la fragilità del sistema nel darsi delle regole sostenibili. Quantomeno l’idea di un futuro. Ancora prima garantire che non si trasformi tutto in una giungla, con i lavoratori licenziati con un messaggio su Whatsapp.
L’HUFFPOST
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