Non sappiamo più educare i giovani (solo compiacerli)
di Ernesto Galli della Loggia
Più insopportabile di ciò che i giovani spesso fanno è la retorica che sui giovani si fa. Quella retorica, ad esempio, che a commento della recentissima decisione di estendere ai diciottenni il diritto di voto per il Senato ha fatto titolare a qualche giornale «Da oggi i giovani contano di più». Come se dopo la medesima estensione del diritto di voto per la Camera mezzo secolo fa qualcuno si fosse mai accorto che i suddetti giovani avessero cominciato a «contare di più».
Si pensa con questa retorica di risultare loro simpatici, di ingraziarseli. Ingraziarsi i giovani è divenuta infatti da decenni la parola d’ordine di un Occidente sempre più vecchio e sempre più preso dalla paura di esserlo. Compiacere i giovani è divenuto così il primo comandamento di chiunque intenda apparire al passo dei tempi e magari giovane anche lui: dal ministro dell’Istruzione al sindaco dell’ultimo borgo d’Italia che si farebbe impalare pur di non chiudere una discoteca da diecimila decibel.
Ma i giovani non dovrebbero essere adulati. Adularli, compiacerli, è il modo più sicuro per rovinarli: perché così li si rinchiude nell’informe in cui essi ancora consistono e dal quale invece devono essere aiutati a uscire, «e-ducati» (condotti fuori: ah la folgorante perspicuità della lingua latina!). Per l’appunto l’educazione non l’incensamento è il vero diritto che i giovani possono, e devono, accampare nei confronti della società.
Disgraziatamente è proprio ciò che le nostre società, a cominciare dalle famiglie, non riescono più a fare. Non sappiamo educare le nuove generazioni, dare loro una misura e un retroterra, e quindi un orizzonte di senso per l’oggi e per il domani; riempire di un contenuto positivo di attesa e di speranza gli anni d’apprendistato che esse vivono. Incapaci ormai di fare qualcosa del genere abbiamo creato uno spaventoso vuoto educativo.
Ed è per l’appunto su questo fronte che anche la scuola italiana registra il suo fallimento più visibile. C
ome dimostrano ogni giorno le cronache delle multiformi imprese di tante masse giovanili — con la loro insubordinazione distruttiva ma insieme con il loro evidente carico di disperazione — anche la scuola non riesce a dare ai propri allievi quella minima maturità e padronanza di sé, quella consapevolezza degli obblighi della convivenza sociale che sarebbero necessarie.
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