Orlando: “Ora basta delocalizzazioni sanzioni alle multinazionali in fuga”
Quale?
«Sia
Giannetti che Gkn operano nell’automotive e non credo che sia un caso.
Vanno presi come due campanelli d’allarme e per questo bisogna attivare
subito un tavolo di confronto su questa filiera perché è evidente che la
transizione ecologica non lascerà tutto invariato. Produrrà una serie
di effetti che vanno affrontati per tempo e non soltanto col meccanismo
ex post degli ammortizzatori sociali. Abbiamo bisogno di prevedere i
prossimi mesi e i prossimi anni e di costruire politiche industriali in
grado di contenere i danni e accompagnare le trasformazioni».
Subito riforma degli ammortizzatori e nuove politiche attive del lavoro…
«Sì.
Noi ci stiamo lavorando. Però poi occorrono anche robuste politiche
industriali, perché ci sono passaggi nei quali il saldo occupazionale
non sarà positivo e allora non basterà ricorrere alle politiche attive
per ricollocare i lavoratori, perché in alcune realtà se non riusciamo a
massimizzare quanto più possibile gli investimenti del Recovery questa
possibilità rischia di non esserci. Quanto riusciamo a trattenere
facendo crescere le filiere del nostro paese?
Ma sui licenziamenti, oltre alle modalità improprie adottate dalle aziende, adesso bisogna modificare la norma?
«Quando
richiamiamo le aziende al rispetto delle procedure lo facciamo non a
caso ma perché in questo modo si presuppone il rispetto di un percorso
che prevede il confronto. Quindi non basta che le imprese comunichino la
loro decisione a un tavolo: la legge vuole che ci sia una
interlocuzione. Non è solo un problema di mail, ma bisogna ascoltare le
parti sociali e valutare se ci sono soluzioni che consentono di evitare
il disimpegno dall’investimento, questo prevede la legge. Quando leggo
che Gkn dice “questa è la nostra scelta, voi fate come vi pare” non
riscontro solo una violazione delle regole della buona educazione, ma
anche una legge che viene disattesa in modo inaccettabile».
Ma di questi licenziamenti che pensa? Come li giudica?
«Credo che ci troviamo in una fase
in cui emergono situazione di crisi che la cassa Covid finora aveva
tenuto coperte, ma che non necessariamente sono legate agli effetti del
Covid. La mia proposta di rendere più graduale il superamento del blocco
era proprio per evitare che queste crisi si concentrassero in un
periodo limitato di tempo. Dopodiché se dobbiamo guardare i numeri macro
vediamo che l’andamento generale al momento non è molto dissimile da
quello che ha preceduto la pandemia. Non c’è un effetto sblocco dei
licenziamenti che si produce sui grandi numeri, ma ogni singola vertenza
ha la sua importanza e drammaticità. Io però credo che queste
situazioni non possono essere affrontate con strumenti di carattere
generale ma con strumenti mirati e specifici, che consentano di
agevolare i processi di reindustrializzazione e di rafforzare le
sanzioni per chi ha ottenuto finanziamenti e poi si disimpegna da
attività magari ancora efficienti».
Tornare indietro no?
«A
questo punto ripristinare il blocco ex post sarebbe complicato e non
avrebbe effetti. La nostra grande attenzione a questo punto va posta
alla prossima scadenza di ottobre. Per questo occorre far seguire alla
fine del blocco la riforma degli ammortizzatori sociali perché in questo
caso avrà una forte valenza visto che estenderemo le copertura anche
alle piccole imprese con un sistema di paracaduti più efficiente di
quello che oggi esiste. Però anche qui, e forse è meno scontato
pensarlo, dobbiamo attuare politiche industriali, a partire dal
commercio visto che il passaggio alle piattaforme digitali di una quota
dei consumi è destinato ad essere un elemento strutturale. In parte
queste imprese vanno aiutate nei processi di digitalizzazione ed in
parte andranno riconvertite, in parte usciranno dal mercato e molte
città rischiano di spegnersi».
Lei continua a sostenere che il Reddito di cittadinanza va rivisto. Ancora ieri però Di Maio ha alzato le barricate.
«Coi 5 Stelle mi confronto spesso e nessuno di loro dice che immodificabile. E’ certamente uno strumento importante di contrasto della povertà, ed io concordo con loro, però alcuni aspetti vanno rivisti. Di certo l’Rdc non funziona come strumento di politiche attive del lavoro. Dobbiamo efficientarlo quanto più possibile, realizzare controlli più rigidi e attivare percorsi di inclusione, perché non c’è solo il problema di mandare la gente a lavorare ma c’è anche quello di assicurare loro adeguati livelli di istruzione. Rinunciare però ad uno strumento che ha impedito un aumento esponenziale della povertà assoluta, e sono d’accordo con Di Maio, sarebbe sbagliato e pericoloso».
LA STAMPA
Pages: 1 2