Il richiamo di Draghi all’unità dei partiti per spingere le riforme
Il premier ripete che «l’unità è un forte valore aggiunto in questa fase decisiva per il futuro del Paese»: vuole richiamare i partiti di maggioranza al patto sottoscritto quando è nato il governo. Ma le fibrillazioni rischiano di far saltare i tempi
Se Draghi sente la necessità di ripetere che «l’unità è un forte valore aggiunto in questa fase decisiva per il futuro del Paese», è perché vuole richiamare i partiti di maggioranza al patto sottoscritto quando è nato il governo. Una sorta di «post it», utile ad evitare che le fibrillazioni degli ultimi giorni diventino un andazzo quotidiano e rallentino il timing delle riforme che «vanno varate nei tempi già stabiliti». È un messaggio erga omnes, ma è chiaro chi sia il principale destinatario e il motivo dell’appello: il Movimento, e i suoi contorcimenti sulla giustizia.
Racconta un ministro che l’esecutivo si era fatto carico di venire incontro ai grillini, se è vero che «la Cartabia avrebbe voluto proporre un proprio e innovativo impianto di riforma, e invece per ragioni di equilibrio ha dovuto aggiustare ciò che c’era». «E Draghi — aggiunge un altro rappresentante del governo — dopo l’ultima mediazione in Consiglio ha spiegato che non avrebbe consentito ai partiti di snaturare l’impianto della legge». Sono queste le colonne d’Ercole poste dal premier. La sua visita a Santa Maria Capua Vetere con la Guardasigilli non aveva solo un valore simbolico: era un atto dovuto dello Stato dopo i pestaggi avvenuti nel carcere campano, quando l’esecutivo era retto da Conte e Bonafede era titolare della Giustizia.
L’incontro tra il prossimo leader M5S e Draghi è atteso con preoccupazione della delegazione ministeriale grillina. Il timore è che se l’avvocato del popolo provasse ad attaccare sulla giustizia, finirebbe per schiantarsi e per affondare anche il Movimento. Non solo perderebbe l’appoggio della compagine di governo, dove è segnalata «una buona intesa» il premier e Patuanelli. Il rischio maggiore è che in tal caso, per la prima volta nella storia repubblicana, il partito di maggioranza relativa potrebbe misurare la sua irrilevanza in Parlamento. Non a caso Salvini dice che «su giustizia, fisco e altri temi c’è ormai un rapporto di forza diverso alle Camere». E c’è un motivo se ieri persino Zingaretti ha mandato un messaggio a Conte, avvisando che «l’obiettivo strategico non può essere indebolire il governo». L’ex leader dem comprende che una mossa sbagliata avrebbe ripercussioni sul suo stesso partito, dove si rafforza la tesi che «si lavora meglio con la Lega». Salterebbe il banco, certo non Palazzo Chigi. Allora si capisce perché Draghi confidi che il Pd diventi un attore più stabilizzante del governo. Come a dire che non lo è del tutto.
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