Giorgia Meloni e Matteo Salvini, basta litigi da quattro soldi: così la coalizione di centrodestra finisce in fumo

Franco Bechis

Quando Matteo Salvini e Antonio Tajani si sono messi d’accordo sul nuovo consiglio di amministrazione della Rai da eleggere in Parlamento, si sono dimenticati solo una telefonata. Quella a Giorgia Meloni per informarla che non c’erano le condizioni per rieleggere come sembravano tutti d’accordo Giampaolo Rossi nel consiglio di amministrazione della tv di Stato. La leader di Fratelli di Italia non è venuta a saperlo poi dalle agenzie o dai social, perché colta forse da un presentimento ha fatto lei una telefonata agli alleati che a quel punto le hanno dato la sgradita notizia.

L’ennesimo incidente diplomatico in un centrodestra che continua a marciare diviso convinto che fra un anno o due sarà un gioco da ragazzi colpire unito e andare alla guida del Paese. E’ una questione di forma certo, che si somma però ad altre decine di questo tenore, e bisogna essere davvero ottimisti su quel futuribile “colpire uniti”, perché più questioni di forma evitabilissime (come quelle accadute e ripetute sul Copasir) continueranno a scavare fossati tra i presunti alleati, più sarà difficile mettere insieme la coalizione di centrodestra. E dispiace perché con sondaggi che con sfumature diverse danno i partiti guidati da Meloni e Salvini in testa alle preferenze degli italiani e il centrodestra scelto come opzione di governo dalla metà degli elettori, buttare al macero questa possibilità solo per una questione di carattere è davvero una sciocchezza.

Un po’ di competizione è ovvia, visto che al momento non c’è un leader del centrodestra e al ruolo possono ambire sia la Meloni che Salvini. Bisognerà trovare una regola condivisa per definire chi guiderà la coalizione durante la prossima campagna elettorale nazionale e chi presentare candidato premier. Nel 2018 il centrodestra decise che avrebbe fatto il premier il leader del partito che prendeva più voti, e fu Salvini. Ma il centrodestra come sappiamo non ebbe abbastanza seggi per eleggere un premier e la coalizione nei fatti si sciolse con la Lega che andò al governo e gli altri due partiti che scelsero l’opposizione: non c’era bisogno di un capo, visto che ognuno è andato per la sua strada.

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