Procure poco preparate sulla violenza contro le donne, “diritti spesso disattesi”

Basta leggere i dati per capire quanto la specializzazione tanto auspicata sia carente a tutti i livelli. Nel 10% delle procure, ad esempio, non ci sono magistrati specializzati nei reati di violenza contro le donne e questo, si legge nel rapporto “implica che i procedimenti in materia sono assegnati a tutti i magistrati indistintamente”. Questo problema riguarda in particolare le procure di piccole dimensioni. Nella stragrande maggioranza degli uffici requirenti, il 77,5%, c’è invece un gruppo di pm che si occupa di violenza di genere, ma non solo. In queste procure, si legge nel documento, ”è stato costituito un gruppo di magistrati specializzati che tratta la materia della violenza di genere contro le donne, tuttavia insieme ad altre materie riguardanti i cosiddetti soggetti deboli o vulnerabili”. Solo nel 12,3% delle procure c’è un pool specializzato esclusivamente nei crimini contro le donne ma, anche in questi casi, non è da escludere che i fascicoli per abusi o maltrattamenti siano assegnati ad altri magistrati. Elementi, questi, che potrebbero essere problematici in quanto “il mancato riconoscimento della complessità della materia potrebbe contribuire all’innescarsi di circoli viziosi: non adeguatezza ed efficienza della risposta giudiziaria, non tempestività dell’intervento, aggravio e sbilanciamento nel carico di lavoro a svantaggio dei magistrati specializzati, con il rischio concreto di una
disaffezione nei confronti della materia e di un disincentivo a trattarla”.

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Non solo procure. Poca formazione si riscontra tra i consulenti tecnici, figure professionali che possono essere molto d’aiuto nei procedimenti per reati di questo genere.  Le Consulenze tecniche d’ufficio, che spesso decidono sulle capacità genitoriali, vengono affidate anche a esperti non specializzati nella violenza di genere. Poca specializzazione si riscontra anche tra gli psicologi e  tra gli avvocati. Quanto alle toghe, il rapporto rileva come la Scuola superiore della magistratura abbia organizzato in tre anni solo sei corsi sul tema, frequentati prevalentemente da donne.

Un problema rilevante si riscontra poi nei giudizi civili. La violenza domestica alla base di separazioni e divorzi, spiega la commissione, spesso non viene riconosciuta. E questo accade perché i procedimenti civili e quelli penali per maltrattamenti e violenza procedono, in molti casi, in parallelo, senza che ci siano scambi in informazione. “L’analisi ha evidenziato una sostanziale invisibilità della violenza di genere e domestica nei tribunali civili, nei quali la situazione appare più critica e arretrata rispetto a quella emersa nelle procure”, scrive la commissione. Il fatto che tribunale civile e penale non si parlino come dovrebbero è un problema. Perché potrebbe minare la piena tutela di donne e minori in casi di violenza domestica.  “Uno dei problemi fondamentali resta che le cause civili di separazione e quelle penali per violenza domestica non dialogano, per cui le donne vittime di abusi possono addirittura vedersi portare via i figli con la forza pubblica, sulla base di consulenze tecniche d’ufficio che non leggono la violenza”, ha sottolineato la senatrice Valente. “Se non si riconosce la violenza viene disattesa la convenzione di Istanbul e non si applicano le sue norme che prevedono la messa in sicurezza dei minori dal padre violento. Questo rapporto è la premessa a quella che sarà l’indagine sull’alienazione e sulla vittimizzazione secondaria”. E ha concluso: “Il principio della bigenitorialità sta fuori dal campo quando siamo di fronte alla violenza”.

Per quanto ci siano esempi virtuosi, insomma, sul fronte della violenza di genere nelle aule dei tribunali, e in ogni fase del procedimento, bisogna fare di più. E a riconoscerlo è anche il vicepresidente del Csm, David Ermini. Il Consiglio superiore della magistratura, ha sottolineato, “farà tesoro, particolarmente con riguardo ai nodi critici, delle indicazioni per supportare e implementare l’esportazione di adeguati modelli organizzativi e pratiche efficienti”.

Perché le leggi a tutela delle donne possano essere davvero efficaci le parole d’ordine – almeno quando si arriva negli uffici giudiziari – sono due: collaborazione e adeguata specializzazione. Senza, difficilmente potranno esserci ulteriori progressi.

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L’HUFFPOST

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