Inghilterra, la retorica del primato rischia di perdere una nazione

Era così imprevedibile che l’eccessiva spavalderia dei tabloid – vogliamo chiamarla superbia? – riverberasse sui comportamenti di chi li legge? E sono ancora tanti, in Inghilterra: quelle prime pagine finiscono sui social, insieme agli slogan che le accompagnano. Non è braggadocio, sbruffoneria inoffensiva che si perdona volentieri. È un modo di convincersi, e di convincere, di essere i predestinati, al di là del calcio. L’Inghilterra ospita, ancora oggi, media eccellenti: questa settimana ne hanno dato prova con un’autocritica dolorosa. Ma, ogni tanto, anche qui sbuca l’atteggiamento di superiorità, quasi un riflesso automatico. The Economist – il miglior settimanale del mondo – ha scritto ieri, parlando del successo degli azzurri: «Una vittoria per l’idea europea, ma anche per la destra italiana». Un’affermazione di cui si fatica a capire il senso e lo scopo.

Questi campionati europei, e il gran finale giocato a Londra, non sono diventati per l’Inghilterra solo un motivo di festa collettiva, come le splendide Olimpiadi nel 2012, ma un’occasione di riscossa. Una riscossa di cui una grande nazione non dovrebbe aver bisogno. Il crescendo nazionalista dell’ultimo mese ha provocato fastidio in molti luoghi del mondo e sconcerto nelle altre nazioni del Regno Unito. Il plateale sostegno agli azzurri prima della finale – in Scozia, in Galles, in Irlanda del Nord – non era legato solo ad antiche rivalità sportive. Sembrava mostrare preoccupazioni del tutto nuove.

Alcuni episodi sono stati sconcertanti, quasi incomprensibili. Molti giocatori della Nazionale inglese sono ragazzi: il gesto di sfilarsi dal collo la medaglia d’argento poteva apparire impulsivo. Ma è diventato una sgradevole scelta di squadra, che ha sbalordito il mondo: non è quello che uno s’aspetta da chi ha inventato lo sport moderno. Ben più gravi, e assolutamente ingiustificabili, gli insulti razzisti sui social. La Premier League non è solo il miglior campionato del mondo, il più combattuto e appassionante, è anche il simbolo di un Paese compiutamente multietnico. Quanto è accaduto dopo la finale di Wembley è un autogol: per rimontare ci vorrà tempo.

Ogni società convive con i suoi fantasmi. ll fenomeno degli hooligan è stato a lungo motivo di imbarazzo, per l’Inghilterra. E di tragedie, purtroppo. Poi c’è stata la reazione, ammirevole. Una legislazione intelligente e il lavoro metodico della polizia avrebbero potuto poco, se il Paese – negli anni Novanta – non avesse deciso di dire «Basta!». L’attenzione in seguito si è abbassata: negli ultimi anni, istituzioni e politica sono state in altre faccende affaccendate. Così gli hooligan sono ricomparsi, più orribili di prima: all’alcol, oggi, si aggiunge la cocaina. Nessuno li ha incoraggiati. Ma non li ha nemmeno controllati e condannati.

Non è sempre gradevole ciò che si muove dentro la pancia delle nazioni: tutte, nessuna esclusa. Ma le gastroscopie sociali e politiche vanno eseguite, ogni tanto. Ai nuovi leader e ai nuovi movimenti – non solo in Inghilterra – dovremmo ricordare una cosa. Certi toni e certi temi – la retorica del primato, la contrapposizione etnica, la ricerca di avversari a ogni costo – possono far vincere le elezioni. Ma rischiano di perdere le nazioni.

CORRIERE.IT

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