Il virus e la vera libertà

di Aldo Cazzullo

Sui vaccini, la politica sia responsabile, almeno adesso che quasi tutti i partiti sono nella maggioranza. Si rinunci a vellicare gli incerti; semmai li si convinca a vaccinarsi, o almeno li si incentivi. Destra e sinistra non c’entrano nulla

La discussione sul vaccino è viziata da un grande equivoco. Il confronto non è tra chi difende la libertà e chi la nega. Il confronto è tra chi vuol essere — o si illude di poter essere — libero qui e ora, e chi vuol essere libero in modo duraturo; senza ritrovarsi a fine estate (se non prima) in questo frustrante giorno della marmotta, senza dover ricominciare da capo con i bollettini delle terapie intensive e i decreti di chiusura. Dovrebbe essere chiaro che la scelta giusta è la seconda. Nessun Paese democratico ha imposto l’obbligo di vaccino, se non (com’era inevitabile) agli operatori sanitari. Quasi tutti i Paesi democratici, però, hanno deciso di incentivare le vaccinazioni. Il diritto al lavoro è inviolabile; quindi è impossibile legare l’ingresso sul posto di lavoro al green pass. Ci sono però lavori che si svolgono a contatto con il pubblico. Un conto è difendere la libertà di non vaccinarsi; un altro è attentare alla libertà di lavorare — o usufruire di un servizio — senza venire in contatto con una persona che ha deliberatamente scelto di non vaccinarsi. Distinguere tra le generazioni, per arrivare a sentenziare che i giovani possono anche non immunizzarsi perché tanto non muoiono, significa non aver capito come si muove questa pandemia. Il virus resiste e muta proprio perché non è molto letale, ma è molto contagioso. L’unico modo per bloccarne o limitarne la circolazione e la mutazione è vaccinarsi tutti, o quasi tutti. Qualsiasi dato scientifico ed empirico è lì a dimostrarlo. Purtroppo non ci sono altre possibilità, se vogliamo riaprire le scuole in sicurezza, consolidare la ripresa economica, recuperare la socialità, i rapporti tra le persone, il clima di scambio e di incontro che resta di gran lunga il modo migliore di lavorare e di vivere.

L’alternativa è un altro anno a singhiozzo. È richiudere le scuole e tornare alla didattica a distanza, i cui limiti erano già ben chiari a insegnanti, allievi e famiglie prima ancora che venissero certificati dalle prove Invalsi. È ripiombare nell’incertezza e nella paura sui luoghi di lavoro (perché ci sono lavori che da casa non si possono fare, o che non riescono allo stesso modo). È abituarsi definitivamente alla vita virtuale e impaurita di questi diciotto mesi: le riunioni a distanza, gli impegni cancellati all’ultimo momento, le vagonate di autocertificazioni inutili, i talk-show con i virologi catastrofisti, le gomitate di saluto, e tutte le altre cose di cui non vediamo l’ora di fare a meno.

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