Le scelte decise del premier e i fragili equilibri dei partiti
di Francesco Verderami
Le parole pronunciate dal presidente del Consiglio l’altro ieri dimostrano come i partiti fatichino a comprendere Draghi e il suo metodo. Il premier non è un mediatore: per gestire l’eterogenea maggioranza che lo sostiene non ricerca compromessi, ma mira a comporre le differenti posizioni in modo dinamico, per evitare che il governo resti incastrato in equilibri fragili e perciò instabili. E una volta trovata la sintesi, traduce l’accordo in decisioni e provvedimenti. Le forze politiche hanno avuto modo di verificare la novità di approccio ma non riescono ad adeguarsi. Ripropongono sempre gli schemi e i riti del passato, che Draghi non manca di additare e respingere: dal Pd alla Lega, passando per M5S, in questi mesi nessuno è stato preservato dai suoi richiami.
Se giovedì ha impresso un’accelerazione, con toni forti e irrituali, è stato per superare manovre tattiche e dilatorie che sembravano una prova generale in vista del semestre bianco, quando il Parlamento non potrà essere sciolto in caso di crisi. È chiaro che nessuno ha la forza e nemmeno l’intenzione di far cadere il governo, semmai le fibrillazioni riflettono le contraddizioni interne ai partiti e alle coalizioni, l’avvicinarsi delle scadenze elettorali e l’imminenza della corsa per il Quirinale.
Ma il premier — pur rispettando la natura della sua maggioranza e le esigenze di chi la compone — ha voluto porre tutti davanti alle loro responsabilità. È consapevole di come la fase politica sia problematica, tuttavia non è disposto a veder scaricato sul governo un surriscaldamento eccessivo dei rapporti tra alleati che sono al tempo stesso avversari.
C’è un patto che i partiti hanno firmato quando gli hanno accordato la fiducia. C’è un impegno verso il Paese che vive una difficile fase sociale, economica e sanitaria. E c’è un contratto sottoscritto con l’Europa per i fondi del Recovery plan. Il governo ha questi impegni: vincere la sfida contro il Covid e aiutare il sistema nazionale a ripartire. Nel primo caso, l’annuncio dell’introduzione del green pass ha fatto immediatamente aumentare le prenotazioni per le vaccinazioni. Nel secondo, ci si muove con realismo misto a prudenza. È vero che i dati economici fanno ben sperare, eppure tanto il premier quanto il ministro dell’Economia tengono un profilo basso per non alimentare illusioni: tranne alcune grandi aziende pubbliche, l’Italia non dispone di multinazionali ma di realtà industriali medio-piccole. La ripresa dipenderà dalla capacità del tessuto produttivo di rispondere agli stimoli.
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