Intervista a Davigo: «Io indagato? Diedi i verbali di Amara a Ermini: né lui né Salvi mi dissero di denunciare»
Lei ha una tesi sul segreto alquanto controversa.
«Non
è opponibile al Csm e quindi ai membri (salvo a chi non lo possa
conoscere per ragioni soggettive), e in ogni caso mai c’è violazione del
segreto d’ufficio quando venga comunicato ad altro pubblico ufficiale
tenuto al segreto».
A chi altri nel Csm mostrò i verbali o ne parlò?
«A Giuseppe Cascini (togato di Area, ndr)
lo dissi, e gli mostrai i verbali, perché mi serviva la sua valutazione
di ex pm romano sull’attendibilità di Amara. A Giuseppe Gigliotti
(laico indicato dal M5S, ndr) lo
dissi e gli mostrai i verbali perché si trovava a presiedere la sezione
disciplinare Csm e lì stavano due dei magistrati additati da Amara. A
Stefano Cavanna (laico espresso dalla Lega, ndr),
solo sommariamente e senza mostrarglieli, perché a volte era in sezione
disciplinare. A Giuseppe Marra e Ilaria Pepe (con Ardita e Davigo nel
gruppo di Autonomia e Indipendenza, ndr)
perché volevano farmi riconciliare con Ardita, con il quale io non
parlavo più già per pregresse vicende. A Marra li feci vedere, e poi,
dopo ottobre 2020, quando cessai dal Csm, glieli diedi anche, dicendogli
“te li lascio nel caso in cui il Comitato di presidenza Csm ritenesse
di averne bisogno”».
E Nicola Morra, allora M5S, che c’entra?
Dice che voleva farla riappacificare con Ardita perché gli spiaceva
aveste rotto voi due che eravate i suoi riferimenti nella politica
giudiziaria.
«Ho incontrato il ministro Bonafede tre volte in
circostanze ufficiali, mai in privato, mi sono sempre tenuto lontano
dalla politica, compreso dai 5 Stelle, e quindi Morra non so se abbia
fatto la politica giudiziaria del M5S con Ardita, di certo non l’ha
fatta con me… Venne come presidente della Commissione parlamentare
Antimafia, insisteva anche lui sulla mia pacificazione con Ardita, io
gli spiegai che non volevo per ragioni pregresse. E poi,
raccomandandogli due volte che come pubblico ufficiale fosse vincolato
al segreto, aggiunsi che oltretutto Ardita era anche indicato come
appartenente a un’associazione massonica. L’alternativa era far dilagare
il chiacchiericcio».
Ma non è contraddittorio che lei dica di
aver così agito per rinvigorire un’indagine segreta, quando proprio la
sua condotta ha finito per mettere in circolo la notizia?
«La
notizia non circolò per nulla, tanto che tre quarti dei membri Csm
l’appresero solo nell’aprile 2021 dall’intervento al plenum Csm di Di
Matteo, che trovo sorprendente abbia svolto in udienza pubblica anziché
segreta».
A spedire anonimi i verbali a Di Matteo,
e prima a due giornali, per i pm di Roma fu colei che le faceva da
assistente al Csm, Marcella Contraffatto. Lei ha sbagliato così tanto
valutazione?
«Tuttora non mi capacito di quanto avrebbe fatto,
e delle modalità sconcertanti con cui l’avrebbe fatto. L’ho sempre
giudicata affidabile, e tale la giudicava chi al Csm aveva lavorato con
lei prima di me».
Ma non è che lei approfittò di Storari per guadagnarsi crediti al Csm, dove nell’estate 2020 si discuteva del suo poter restare o meno dopo i 70 anni a ottobre?
«Se mai l’esatto contrario: forse ho compromesso la mia permanenza al Csm. Ma non potevo non riferire a chi di dovere una situazione gravissima che Storari mi aveva segnalato nel mio ruolo istituzionale. Io credo di aver servito con disciplina e onore la giustizia. E non credo sarà questa accusa, infondata, a sporcare 42 anni di servizio».
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