Non scherziamo con la prescrizione

La massa di processi che, particolarmente nelle Corti di appello, costituiscono l’enorme arretrato che connota la realtà italiana (rendendo improponibili esempi di legislazioni che operano in paesi che conoscono una ordinaria, sollecita giustizia), con il nuovo sistema proposto dal governo ancor più di ciò che già avviene, renderebbe inevitabile la scelta di quali processi trattare nei due anni e quali gettare nella improcedibilità. Gravissimo impegno e potere rimesso in capo ai presidenti delle Corti (o della loro cancelleria), con buona pace degli idolatri della obbligatorietà della azione penale e della indipendenza della magistratura, anche qui impropriamente richiamate. L’esigenza di ragionevole durata dei processi fissata dalla Convenzione europea dei diritti umani e dalla norma costituzionale che ne è derivata, stabilisce il corrispondente diritto per le parti processuali. Si ignora però che quel diritto, una volta iniziato il processo, richiede, in tempi ragionevoli e non standardizzabili di anni fissi, una decisione nel merito, non una cessazione del processo per incapacità dello stato di concluderlo. È così prevedibile che con gli effetti della riforma l’Italia riporterà condanne da parte della Corte europea dei diritti umani, non più per la durata dei processi, ma per la loro non conclusione con una decisione nel merito. E così avverrà in sede di Unione Europea: essa lamenta che le prescrizioni di reati riguardanti i suoi interessi finanziari rendono inefficace la necessaria repressione delle violazioni delle norme europee. La denunzia delle carenze italiane si trasferirà immediatamente sugli effetti della nuova normativa. Non più per le troppe prescrizioni, ma per le troppe improcedibilità. Perché ovviamente il problema è la lentezza dei processi: le prescrizioni ne sono la conseguenza.

La Commissione Lattanzi aveva sì articolato l’ipotesi su cui le forze politiche si sono poi confrontate, ma aveva preferito una soluzione diversa, coerente con le categorie tradizionali italiane che qualificano l’istituto della prescrizione. Essa prevedeva rilevanti modifiche alla disciplina della prescrizione, tali da privilegiare nei tempi la trattazione in appello dei processi per reati prossimi alla prescrizione (così impedendola) e sollecitare la conclusione nel merito anche degli altri, nei termini previsti come ragionevoli. Il tutto considerando le diversità operative derivanti dal diverso carico delle corti. Ma tale proposta è stata subito abbandonata. Il terreno del lavorio politico è stato cercato altrove. Ora si dice che sono possibili ulteriori “aggiustamenti tecnici”. Ma poi -senza perder tempo- si va alla decisione. Peccato. Sarebbe ancora possibile una sana resipiscenza. L’altra soluzione, che la Commissione Lattanzi aveva proposto, è ancora sul tavolo, con la forza della sua serietà.

LA STAMPA

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