Giustizia: toghe e doppie verità

L’altra ipotesi di spiegazione – assai meno plausibile della precedente, anzi, ammettiamolo, quasi inverosimile – è che la magistratura italiana sia ormai divenuta un corpo malato. Un insieme in cui uomini e donne si lasciano rappresentare da avanguardie impegnate a combattersi le une contro le altre a colpi di dossier. Che le loro istituzioni, a cominciare dal Csm, stiano sprofondando, anzi siano già sprofondate nel più assoluto discredito. Che correnti e sottocorrenti abbiano standard di moralità minori di quelli che avevano i partiti politici all’epoca della loro massima degenerazione. Che procure, passate alla storia come templi della legalità, siano oggi sconvolte da lotte fratricide in cui è consuetudine l’accoltellamento alla schiena. Luoghi in cui sarebbe divenuto lecito nascondere le prove a vantaggio degli imputati. Dove è pratica corrente spedire anonimamente a colleghi e media verbali finalizzati a minare la credibilità di un qualche «nemico». E di servirsi in tal guisa di astutissimi «pentiti» ben consapevoli dei servizi che si prestano a rendere. In questi Palazzi di giustizia sarebbe venuto meno ogni spirito di lealtà nei confronti dei capi. Capi che verranno sì sostituiti ma continueranno ad esser nominati da un Csm abbondantemente avvelenato.

Se la magistratura italiana fosse precipitata in questo abisso – cosa che non crediamo, anche se qualche rischio lo si può intravedere in lontananza – allora le prese di posizione di alcune toghe contro Draghi e la Cartabia andrebbero interpretate come un accorto posizionamento in vista di un cataclisma prossimo venturo. Una scossa tellurica nel corso della quale potrebbero venire alla luce le malefatte di molti, talché alcuni togati avrebbero ritenuto conveniente assumere la postura di indomiti alfieri della legalità capaci di mettere con le spalle al muro l’ex Presidente della Corte costituzionale. Tali posture potrebbero valere, nell’immediato, per promozioni che verranno fatte con gli stessi criteri adottati in passato. Ed essere eventualmente considerate un titolo di benemerenza nel momento in cui giungesse l’ora del redde rationem.

Ma ora che il governo è stato in grado di giungere ad un secondo compromesso ci aspettiamo che i magistrati ne prendano atto e festeggino lo scampato pericolo. E che siano unanimi anche in questi festeggiamenti.

CORRIERE.IT

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