Le sabbie mobili di Draghi
Un consiglio dei ministri convocato in mattinata, poi sospeso, poi riaggiornato nel pomeriggio, per disinnescare la minaccia dell’“astensione” che, su un provvedimento del genere, sarebbe stata una quasi crisi di governo. E poi incontri separati con la delegazione dei Cinque stelle, che a sua volta si era riunita con Conte, prima di incontrare Draghi. E poi una faticosa mediazione che consente, un po’ a tutti, a qualcuno di più a qualcuno di meno, di dire che è stata dura, ma “sui nostri valori non abbiamo ceduto”, evviva evviva: Conte sulla mafia ottiene una sorta di moratoria a tempo e norme speciali (si vedrà cosa dice l’Europa), Salvini sulla droga, il Pd sull’entrata in vigore da procrastinare per consentire agli uffici l’efficacia della riforma. Manca all’appello solo Bonafede la cui riforma, che prevedeva sempre e comunque, l’interruzione a vita della prescrizione, è stata smontata.
Insomma, per la prima volta da quando è nato il governo Draghi, palazzo Chigi si è trasformato nel set di un governo “normale”, ingabbiato nei rituali del precedente, col precedente premier che ha costretto l’attuale al suo format, cui è mancato solo l’appuntamento notturno. Prima ancora del merito è il metodo che si presta a una riflessione. Era chiaro che la giustizia, forse il tema più identitario per Movimento che, in Parlamento – anche se non nel paese – è il partito di maggioranza relativa, sarebbe stato un complicato. Ma questa storia racconta – e il disappunto trapelato da palazzo Chigi in giornata lo conferma – di un cambio di clima e, al tempo stesso di un rischio per Draghi.
Alla prima occasione utile si è manifestato il tentativo di destabilizzare il governo, da parte degli orfani del precedente, che questo assetto lo hanno subito, ma mai fino in fondo digerito. E mai hanno scommesso fino in fondo sulla nuova fase, ricollocando la propria funzione e la propria iniziativa, nelle condizioni date di un governo “di” emergenza e “per” l’emergenza, dentro cui cercare una coerente visione dell’interesse nazionale. Spiazzato dalla nascita del governo, Conte ha interpretato la collocazione del Movimento e la costruzione della sua leadership in chiave di “destabilizzazione”, con una certa complicità del Pd perché, diciamo le cose come stanno, se Enrico Letta, dopo che la riforma era stata approvata nella sua prima versione al cdm non si fosse accodato a Conte nel richiedere modifiche, probabilmente l’approvazione sarebbe stata molto più lineare e il compromesso finale meno arzigogolato.
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