Conte se la prende con il «turbo-decisionismo»: non si uccide la dialettica
C’è Draghi e c’è Conte, che non è Coppi contro Bartali. Se non fosse che l’ex premier ci crede davvero e si appresta a competere con il suo successore, ergendosi a paladino della politica e del suo primato contro il potere tecnocratico privo del consenso elettorale.
Conte dimentica di essere entrato a Palazzo Chigi senza nemmeno esser stato candidato, pensa solo ad escogitare un modo per tornarci. Così si reinventa difensore del sistema parlamentare, che pure il Movimento rappresentava come una «scatoletta di tonno». Ed eccolo lì, ad attaccare il «turbo-decisionismo, che in alcuni casi — dice l’avvocato — è necessario. Ma uccidere la dialettica democratica ha un costo politico sotteso. Ed è un costo elevato». Sono le tesi con le quali si è messo a sfidare Draghi sulla riforma della giustizia, primo passo di quel «processo di logoramento del governo» denunciato da Giorgetti in Consiglio dei ministri.
Ma non è Coppi contro Bartali. Anche perché, per riuscire nell’impresa, Conte avrebbe bisogno di alleati. Che invece scarseggiano. Grillo e Di Maio non accetteranno mai di fargli da gregari in una simile impresa. E su quei tornanti pochi altri lo seguirebbero. Come racconta un ministro dem, se il leader in pectore di M5S «tenderà ad alzare la tensione, lì si misurerà la virtù del Pd, che non potrà prestarsi al gioco. Nell’interesse del Paese e del partito. Perché il rischio sarebbe quello di consegnare a Conte la golden share della nostra area».
E se fosse questo il vero obiettivo dell’ex premier? Se l’idea di un Papeete grillino per affossare il governo in autunno e andare alle urne dopo l’elezione del capo dello Stato, non fosse che un espediente per diventare nei fatti il «punto di riferimento del progressismo»? D’altronde di apprendisti stregoni è piena la storia politica, e chi immagina di usare Conte per assorbirlo, secondo il diretto interessato «sbaglia». È Conte che vuole usare i suoi alleati per assorbirli. Di qui le contromisure di quanti nel Pd non vogliono «morire grillini». Nelle ore più convulse della trattativa sulla giustizia, c’è stato infatti chi — rompendo la linea di partito — ha assicurato a Draghi che se Conte avesse rotto non lo avrebbero seguito.
In realtà Draghi scommetteva che tutto si sarebbe risolto. L’immagine di un premier per la prima volta sotto scacco è frutto di una lettura politica fatta con lenti del passato: il presidente del Consiglio mirava a portare a casa la riforma tenendo dentro anche i grillini. Ed è vero che in Consiglio c’è stato chi — come la Bonetti — ha additato i Cinque Stelle per «modalità di trattative che evocano la logica del ricatto». Così com’è vero che dallo scontro ad uscire un po’ ammaccata è stata la Guardasigilli: «È la corsa per il Colle — sorrideva ieri Renzi — che provoca danni collaterali già prima di iniziare».
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