Un semestre bianco mai visto, si rischia la rissa politica perenne

Federico Geremicca

Renzo Laconi, dice niente? Proprio niente? Peccato. Perché ne sentiremo parlare, e forse dovremo perfino imparare a conoscerlo. È a lui, infatti, che dobbiamo quella sorta di Glaciazione Istituzionale nella quale sta per precipitare il Paese: essendo stato lui a immaginare e volere – tre quarti di secolo fa – quella tagliola che porta il nome un po’ desolante di semestre bianco.

Renzo Laconi era un deputato membro dell’Assemblea costituente. Sardo, filosofo e naturalmente comunista: diciamo naturalmente perché fu lui – segnato dall’opposizione al regime fascista – a vedere un possibile problema nell’impalcatura costituzionale che, finita la guerra, si stava finalmente progettando: «Se il Presidente della Repubblica, allo scadere del suo mandato, si trovasse con due Camere le quali in modo evidente non gli fossero favorevoli, egli potrebbe benissimo scioglierle e prorogare i suoi poteri per avere nuove Camere che potrebbero essere a lui più favorevoli». E così, l’Assemblea costituente condivise il timore e stabilì che negli ultimi sei mesi del suo mandato il Presidente della Repubblica non potesse sciogliere le Camere e portare il Paese alle elezioni anticipate.

Il cosiddetto semestre bianco, dunque, nasce da una «preoccupazione partitica» – diciamo così – nei confronti delle mosse di un Presidente della Repubblica che volesse restare al suo posto per un secondo mandato: uno scenario che evidentemente fa sorridere, se paracadutato nell’oggi. Il film prossimo venturo, infatti, potrebbe avere una trama totalmente opposta: e fotografare pletore di leader politici e addetti ai lavori che sfilano come ombre al Quirinale per chiedere al capo dello Stato di restare al suo posto ancora un po’. Ma tant’è. Nel semestre bianco, per altro, ormai ci siamo. E una cosa almeno è diventata irreversibilmente chiara: che ad eleggere il prossimo capo dello Stato (vecchio o nuovo che sia) sarà l’attuale Parlamento. Circostanza che porta con sé due conseguenze: la prima, è che ne vedremo delle belle, per dir così; la seconda, è che ci aspettano mesi politicamente incontrollabili. Perché se fino a ieri recitare la parte del partito di governo e di lotta qualche problema poteva comportarlo, da domani quei problemi potrebbero trasformarsi addirittura in opportunità.

Si potrà essere prima d’accordo e poi in disaccordo senza rischiare che il tutto precipiti in elezioni anticipate, prospettiva effettivamente temutissima da molti. Si potranno arroventare ulteriormente le campagne elettorali d’autunno nelle grandi città, gettando senza remore nella contesa questioni già oggetto di scontro a Roma. E sui vaccini e sulle regole della lotta al Covid – soprattutto – potrebbero finire per scontrarsi frontalmente e definitivamente sensibilità e visioni non compatibili, ma fin’ora tenute per quanto possibile a freno: con conseguenze drammatiche e facilmente immaginabili.

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