Olimpiadi: non esistono «neri italiani», italiani basta e avanza

di   Aldo Cazzullo

Ci sono cose e persone che non si dimenticano. Gianmarco Tamberi con la gamba ingessata a Casa Italia di Rio 2016, che ripete a tutti: «A Tokyo vincerò l’oro», e tutti dicevano: sì, certo, come no; ovviamente per farlo contento, senza crederci. Invece. E poi un atleta, Mario Balotelli, che non ha dimostrato un decimo della costanza e della tenuta di Tamberi, ma non per questo meritava di sentirsi gridare dalle curve che «non esistono negri italiani». Invece.

Non soltanto ovviamente esistono neri italiani, e non è giusto ricordarsene solo quando uno di loro vince clamorosamente la finale olimpica dei 100 metri, che con la maratona rappresenta la gara simbolo dei Giochi.

L’espressione «nero italiano» perderà presto significato, proprio come non avrebbe significato dire «bianco italiano». È così importante il colore? Italiani: basta e avanza.

Questo non significa che non esista il razzismo. Certo che esiste; per questo sono necessarie leggi severe per combatterlo. Ma poi la vita supera qualsiasi norma, e la splendida, commovente immagine di Lamont Marcell Jacobs nello stadio olimpico di Tokyo con il tricolore è più importante e utile per l’integrazione della più giusta e doverosa delle leggi.

Un ventiseienne «italiano in ogni cellula» come ha detto a Gaia Piccardi del Corriere, che pensa nella nostra lingua e come noi fatica con l’inglese («un suono strano che lo feriva al cuore come un coltello»), un italiano che riesce dove non erano riusciti i più grandi atleti nella storia del nostro sport, il piemontese Livio Berruti e il pugliese Pietro Mennea, le cui volate olimpiche di Roma 1960 e Mosca 1980 ancora ci emozionano, ma che la finale dei 100 l’avevano solo sfiorata.

L’espressione «neri italiani» avrà sempre meno senso anche perché ogni storia è diversa dalle altre.

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