Green pass: una strana ostilità

di Paolo Mieli

A sinistra è nato, quasi senza che ce ne accorgessimo, un vivace movimento anti green pass. Dapprincipio si trattava solo di una corrente di pensiero a cui avevano dato voce personalità dal rilievo non esclusivamente italiano: Giorgio Agamben, Massimo Cacciari (gli iniziatori); successivamente Gianni Vattimo, Carlo Freccero, Franco Cardini. Ognuno di loro ha messo subito in chiaro di essersi fatto iniettare a tempo debito le dosi del vaccino; ma, poi i cinque hanno sostenuto che molte (troppe) insidie si nascondono dietro l’obbligo di esibire il certificato di avvenuta immunizzazione. Ragion per cui hanno esortato a diffidare di tale imposizione. Sulla scia di questi intellettuali, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha concesso una serie di interviste (l’ultima, lunedì scorso, a Roberto Mania, su «Repubblica») nelle quali ha chiesto che i lavoratori siano esentati dal dover esibire la certificazione verde — come impone la legge — per accedere alla mensa aziendale. E che, nel caso siano sprovvisti di green pass, non abbiano a subire «sanzioni o punizioni». Sanzioni o punizioni — secondo il capo della Cgil — sarebbero «inaccettabili». Gli è andato dietro il segretario della Uil, Pierpaolo Bombardieri, il quale, intervistato su questo giornale da Claudia Voltattorni, ha detto che, a suo avviso, i protocolli di sicurezza usati finora («frutto dell’accordo tra governo e parti sociali dello scorso aprile … quando i vaccini c’erano già») bastano e avanzano.

Perciò, anche per il segretario della Uil: nessuna ammenda per chi va in mensa senza avere il green pass. A questo punto il vicesegretario del Pd, Giuseppe Provenzano, ha dichiarato a Radio24 che la questione posta da Landini e Bombardieri «ha un suo fondamento» ed è dunque necessario tornare «a un tavolo con le parti sociali». Il che, tradotto, vuole dire rimettere in discussione le decisioni in materia prese dal governo con il pieno assenso del ministro Roberto Speranza. Sarebbe per certi versi il bis di quel che accadde con la riforma Cartabia. Qualcuno si muove già sul terreno delle minacce. Marcello Pacifico, presidente dell’Associazione nazionale insegnanti e formatori, ha rivelato, su il manifesto, di aver già ottenuto migliaia di sottoscrizioni a un appello per «la cancellazione della norma che introduce il green pass obbligatorio per il personale scolastico e per gli studenti universitari». Ancora una settimana di raccolta firme, ha annunciato Pacifico, e poi, a meno che il governo faccia «marcia indietro», «procederemo per le vie legali».

È trascorso appena un anno e mezzo da quando, a inizio pandemia, i rapporti tra esecutivo e mondo del lavoro furono — nonostante le complicazioni di quei momenti — molto collaborativi. Landini all’epoca non faceva mistero di nutrire una grandissima stima, quasi un’ammirazione nei confronti dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E fu forse anche per questo motivo che, come ha ricordato Marco Bentivogli, non ci furono proteste in fabbrica contro l’introduzione delle mascherine, la rilevazione della temperatura, gli screening con test sierologici e molecolari. O comunque furono minime.

Adesso Landini ha cambiato registro e sostiene che i protocolli sono sufficienti a garantire la salute nelle aziende e che, perciò, il green pass non serve. Ma protocolli sono stati sottoscritti anche per bar, ristoranti, cinema, teatri, treni, aerei. Per non parlare delle scuole. Ambienti in cui da tempo si sanifica, come è stato concordato con il governo, così da offrire garanzie di sicurezza (per quel che è possibile). Anche lì, anche in quei «luoghi di lavoro» non andrebbe sanzionato chi è sprovvisto di certificato verde?

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