La politica estera Usa, il passo indietro di Biden
Barack Obama ridimensionò i piani, riversando lo scetticismo tipico dell’élite afroamericana sul «primato morale» degli Stati Uniti. Obama spiegò la sua visione nell’intervista fondamentale rilasciata nell’aprile del 2016 a Jeffrey Goldberg di «Atlantic». Fulminante: il Medio Oriente? «Non si può mettere a posto». Gli alleati europei? «Scrocconi responsabili del disastro in Libia». L’Ucraina? «Sarà sempre esposta alle minacce russe». Ma soprattutto Barack Obama rifiutò esplicitamente il ruolo di «gendarme del mondo». Disse: «C’è un copione che ci assegna il compito di intervenire sempre per risolvere tutte le crisi. Ma io non l’ho seguito e avevo tutti i diritti per farlo».
Tutti questi presidenti hanno subito disfatte e critiche pesanti. Clinton per la Somalia. George W. Bush per l’Iraq, Obama per la Siria. E, probabilmente, Biden ha messo in conto il contraccolpo sull’Afghanistan. C’è, però, una contraddizione stridente e inquietante. Per otto anni Biden è stato il vice di Barack. Ma chiaramente l’eredità obamiana non poteva bastare per reggere l’urto della brutale retorica trumpiana.
Biden, allora, ha deciso di rilanciare al massimo. Con l’aiuto dello storico Jon Meacham ha tirato in ballo Abraham Lincoln e la «battaglia per l’anima dell’America». Si è presentato al cospetto del mondo come un leader alla Franklin Delano Roosevelt: risoluto, empatico, generoso. Ma poi è arrivata la prova dei fatti. Messi in fila danno una sostanza diversa alla «dottrina Biden». A gennaio-febbraio il presidente chiarì che gli Usa non avrebbero donato neanche una dose di vaccino all’estero: «prima gli americani». A maggio l’Amministrazione non riuscì a fermare l’offensiva di Netanyahu nella Striscia di Gaza e da allora non ha fatto nulla per rilanciare la trattativa; a giugno la vice Kamala Harris concluse il tour diplomatico nel Centro America, rivolgendosi così ai migranti: «Non venite, perché vi mandiamo indietro»; a luglio Biden ha promesso aiuti ai cubani in rivolta, ma le comunità degli esuli gli rimproverano di fare troppo poco. Infine l’Afghanistan.
L’epoca degli slanci clintoniani e delle ambizioni di Bush è lontana. Ma Biden sta arretrando anche rispetto al pragmatismo di Obama. E, soprattutto, sta disorientando la cultura liberal del suo Paese, fondata sull’universalità non negoziabile dei valori, sulla solidarietà senza confini. Basta leggere i commenti di questi giorni sul «New York Times» o ascoltare le analisi della «Cnn».
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