Afghanistan, Draghi dà il via libera agli scali per i profughi nelle basi americane
ALESSANDRO BARBERA
ROMA. I primi tre aerei sono stati già autorizzati ad atterrare sulla pista della base americana di Aviano. Altri sono attesi a Sigonella, in Sicilia. E’ il primo segnale concreto della telefonata di ieri notte fra il premier Mario Draghi e il presidente americano Joe Biden. Washington non sa più dove evacuare le migliaia di afghani a cui ha promesso asilo politico, e per questo ha chiesto assistenza ai partner. Un primo velivolo carico di profughi è già atterrato nella base americana a Ramstein, in Germania, altri sono attesi in Albania, Kosovo e Macedonia. Le autorizzazioni italiane sono concesse da Farnesina e ministero della Difesa: l’esercito americano potrà ospitare sul suolo italiano i profughi il tempo necessario a organizzare il trasferimento negli Stati Uniti.
Il sì di Palazzo Chigi e degli altri governi alleati agli americani ha un valore umanitario e politico. La caduta rovinosa di Kabul nelle mani dei talebani e le prime dichiarazioni alla Casa Bianca di Joe Biden avevano fatto calare il gelo fra Washington e i partner europei. Passati i primi giorni, e toccate con mano le conseguenze dell’abbandono militare del Paese, Biden ha cambiato toni. Se durante il primo discorso alla nazione non aveva fatto alcun cenno alla collaborazione coi governi occidentali, ieri ha detto sì ad un vertice straordinario dei G7 in videoconferenza: dovrebbe svolgersi mercoledì. Solo dopo, se ce ne saranno le condizioni, Draghi chiederà un secondo vertice dei capi di Stato allargato al G20, soprattutto ai non alleati all’Occidente: Cina, Russia, Arabia saudita, Pakistan. Chi in queste ore tenta di fare da ponte fra Nato, talebani, Cina e Russia è l’autocrate turco Recyyp Erdogan. Ieri ha parlato al telefono sia con la cancelliera tedesca Angela Merkel che col russo Vladimir Putin. Erdogan è fra coloro che ha più da temere da una gestione incontrollata della crisi afghana. La Turchia, porta d’ingresso a est dell’Europa, nel 2015 si fece carico dell’emergenza siriana in cambio di sei miliardi di euro. Quest’anno non sembra interessata a fare altrettanto, con o senza lauti guadagni.
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