L’indignazione non riempie le piazze
di GABRIELE CANÈ
Ha ragione Maria Elena Boschi; sarebbe stato bello che sui campi di calcio i giocatori si fossero inginocchiati in segno di rispetto e solidarietà per il popolo afghano. Sarebbe stato bello ripetere un gesto diventato un messaggio universale contro il razzismo. E cosa c’è di più razzista di schiacciare sotto il tallone della barbarie un intero popolo, e in particolare un genere del genere umano, le donne, offese, umiliate, restituite a una condizione di schiavitù fisica e intellettuale? Sarebbe bello che gli italiani che hanno sventolato le bandiere tricolori durante il lockdown…
Sarebbe bello che gli italiani che hanno sventolato le bandiere tricolori durante il lockdown, che sfilano, manifestano, plaudono agli striscioni che dai palazzi pubblici chiedono giustizia; sarebbe bello vederli in piazza, uomini e donne, a gridare la vicinanza alle madri che lanciano i figli ai soldati Usa, alle ragazze che non vanno più a scuola, alle femmine che non potranno più mostrare il loro volto.
Sarebbe stato bello vedere una reazione immediata, pubblica, di popolo. Per quello che valgono, ovviamente, questi gesti. Da cui non ci si aspettano risultati concreti, immediati, un passo dei talebani fuori dalla loro cupa religione, dalla loro ottusa inciviltà, ad esempio. Gesti, però, che ripetuti, diffusi, moltiplicati in mille piazze di mille paesi danno almeno forza ai governi, alla politica, per affrontare a muso duro un nemico pronto a colpire anche a casa nostra.
Invece, stiamo assistendo con rammarico a un fenomeno di evidente dissociazione tra l’impressione, e i timori, che in ognuno di noi suscita ciò che sta accadendo a Kabul, argomento di discussione in famiglia, tra amici, in vacanza, e la pochezza, il nulla delle reazioni collettive. Un dolore a schiuma frenata, al contrario di ciò che accade in tante altre occasioni forse meno rilevanti.
Pages: 1 2