Scontro sul Reddito di cittadinanza, Conte: “Lo cambiamo, ma è necessario”

Francesco Spini

DALL’INVIATO A CERNOBBIO (COMO). L’ennesima battaglia sulla povertà scatta dove di poveri non c’è nemmeno l’ombra: al Forum Ambrosetti. Nella elegante sala a sfondo blu di Villa d’Este, Giorgia Meloni blandisce manager, finanzieri e imprenditori. «Non sono d’accordo con Giuseppe Conte sul fatto che il reddito di cittadinanza sia una buona misura – dice la leader di Fratelli d’Italia –. Il reddito di cittadinanza è metadone di Stato». Sì, avete capito bene, dice alla platea di Cernobbio: «È esattamente lo stesso principio del mantenimento a metadone di un tossicodipendete: ti mantengo nella tua condizione, non voglio migliorarla. E io non penso che questo sia un provvedimento di sviluppo…». A bordo lago, ci sono 8 ministri e, tra essi, il titolare del Lavoro, Andrea Orlando, s’arrabbia.

«Chi usa queste metafore – ribatte il ministro – probabilmente non si rende conto di che cosa sia la povertà». Certo, concede Orlando, «credo che ci siano delle modifiche da fare» ma sarebbe un «passo indietro» tornare a essere «l’unico paese» senza uno strumento di lotta all’indigenza. Il reddito «non poteva funzionare sulle politiche attive del lavoro», argomenta. Ma ha avuto successo «come contrasto alla povertà e l’ha diminuita». Occorre convincere però il numero uno della Lega Matteo Salvini, che sostiene l’esecutivo Draghi ma che qui, a bordo lago, rinsalda platealmente la futura alleanza con Meloni, che sta all’opposizione. Lui è uno che, ai tempi del primo governo Conte (quando Di Maio dichiarò: «Abbiamo abolito la povertà) il reddito di cittadinanza lo ha pure votato: «Lo abbiamo votato ma riconoscere un errore è segno di saggezza – dice ora –. Proporrò un emendamento alla manovra per destinare alle imprese questi soldi», assicura. Insomma, la linea è quella di Meloni, la quale suggerisce di risolvere il problema della povertà «esattamente come si può risolvere il problema della tossicodipendenza». Ossia «creando lavoro. E questo il reddito di cittadinanza non lo ha fatto. Si possono raccontare tutte le cose che si vogliono ma il reddito di cittadinanza è stato un grandissimo disincentivo al lavoro». È stato «uno strumento diseducativo».

Anche nella composita maggioranza dell’esecutivo, al di là di Salvini, in molti sono tiepidi sul reddito di cittadinanza. Il ministro degli Affari Regionali, Mariastella Gelmini (Forza Italia) ad esempio dice che, certo, «il reddito di cittadinanza è stata una misura per contrastare la povertà» ma «non è stata una misura in grado di creare lavoro e oggi la parola chiave per affrontare il futuro con forza è quella di creare occupazione». Lontano dalla rive comasche, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, sbotta: «Non so cosa abbiano fatto di male a qualcuno i poveri». E legge nella campagna contro il reddito minimo «odio contro i poveri e verso chi lavora e magari è povero ma paga comunque le tasse anche per chi non le paga».

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