Mattarella e Draghi, la partita a due per il Quirinale: il governo, il voto e le altre incognite

di Francesco Verderami

Se oggi la corsa per il Colle è vissuta come una partita a due tra Mattarella e Draghi, è perché oggi fuori da questo schema si intravvede solo il caos. È vero che all’elezione del nuovo capo dello Stato mancano ancora cinque mesi, ma è altrettanto vero — come sostiene un ministro — che «nel Paese si va consolidando l’idea di una rielezione dell’attuale presidente della Repubblica o dell’avvento al Quirinale dell’attuale presidente del Consiglio». E allora, più che attardarsi a capire cosa si dicono i segretari dei partiti, andrebbe capito cosa si dicono sul tema Mattarella e Draghi, che attualmente rappresentano il punto di equilibrio istituzionale del sistema: il primo ha espresso la volontà di chiudere la sua esperienza al termine del settennato, il secondo — racconta un dirigente del Pd — «è chiaro a cosa ambisce ma finora dinnanzi a ogni sollecitazione non ha mai mosso un muscolo».

E si capisce il motivo, vista la delicatezza della sua posizione che si unisce alla farraginosità del quadro politico, con un Parlamento balcanizzato dove i leader discutono di nomi mentre i peones discutono di date, terrorizzati di veder cessare la legislatura prima del luglio 2022 e preoccupati solo di arrivare al riscatto della pensione, dato che in tanti sanno già di non tornare. Non a caso Quagliariello ricorda che «a votare non saranno i partiti ma i parlamentari. A scrutinio segreto». Il rischio insomma è che gli accordi possano rivelarsi scritti sulla sabbia se dopo le elezioni presidenziali si aprissero le urne per le elezioni anticipate.

Così tornano in mente le parole pronunciate da Franceschini in tempi non sospetti, quando spiegò ai compagni di partito che, «qualora si puntasse su Draghi, bisognerebbe prima stringere un patto di ferro con le altre forze per un governo fino al termine della legislatura». Fu una lezione di metodo quella del ministro della Cultura, memore che ogni intesa su un candidato al Colle passa da una serie di caveat stabiliti prima del voto: e in questo caso i punti da sottoscrivere sarebbero la data del voto e il sistema elettorale da adottare. Siccome al momento il patto non c’è, è chiaro perché il premier non voglia esporsi.

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