Mattarella e Draghi, la partita a due per il Quirinale: il governo, il voto e le altre incognite
«Ma il gioco è nelle mani di Draghi e Mattarella», spiega chi ha partecipato a molte trattative per il Quirinale. Ed è vero che stavolta non è come le altre volte, che la forza di maggioranza relativa non gioca un ruolo da protagonista ma agisce di risulta, e che i partiti alla vigilia della corsa arrivano a dividersi in pubblico, visto che il leader del Pd vuole la permanenza dell’ex presidente della Bce a palazzo Chigi «fino al 2023» — e di fatto non è propenso a votarlo per il Colle — mentre Bettini propone Draghi al Quirinale per andare subito alle urne. Così si torna al nodo delle elezioni che sarà lo snodo della sfida per il capo dello Stato.
E le Amministrative incideranno sulla scelta. «Lì si capirà — secondo Lupi — chi avrà interesse ad accelerare verso il voto e si muoverà di conseguenza sulla presidenza della Repubblica». Lì si giocheranno «i destini di Salvini e Letta», dicono all’unisono personalità di schieramenti opposti. Perciò il patto che il capo della Lega avrebbe sottoscritto con la Meloni ha il sapore della mossa tattica in vista del voto nelle grandi città. I numeri peraltro evidenziano come in Parlamento non ci siano margini per soluzioni di blocco, cioè per candidati di schieramento: servirà invece un vasto accordo per compensare i franchi tiratori. Insomma è anche per esclusione che oggi si accreditano Mattarella e Draghi, per quanto — come si lascia sfuggire un esponente della segreteria dem — i partiti stiano lavorando a «figure di cerniera».
I quirinabili non mancano, «già tra i nostri la lista è più lunga dei richiedenti il reddito di cittadinanza», sorride un dirigente del Pd. Ma a detta di un rappresentante del governo «non si può escludere una strada alterativa per un nome di ricomposizione, che restituisca ai partiti uno spazio altrimenti occupato da Draghi». In Parlamento Renzi è all’opera, e non fa nulla per dissimularlo. Mentre chi sta in Consiglio dei ministri segnala «l’attivismo silenzioso di Giorgetti». La dead line per l’operazione è «metà gennaio» e non esclude il rischio di una serie infinita di votazioni senza soluzioni, una sequenza di «bianca, bianca, bianca» che indebolirebbe ulteriormente i partiti e metterebbe a repentaglio il quadro di governo. Ecco perché oggi prevale lo schema Mattarella—Draghi. Anche se, a dar retta a uno dei partecipanti alla gara, «la corsa al Colle è da sempre una giocata da tripla».
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